Come ai tempi dei servizi segreti deviati: i depistaggi su Cucchi fanno venire i brividi

Le indagini hanno dimostrato che una catena gerarchica ha contribuito per anni a nascondere la verità sulla morte di Stefano. E questo è un problema serio in uno Stato democratico

Il processo sulla morte di Stefano Cucchi
Il processo sulla morte di Stefano Cucchi
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Gianni Cipriani Modifica articolo

25 Ottobre 2018 - 15.24


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Recitiamo la formula di rito che si usa sempre quando si tratta di apparati dello Stato: parliamo di una minoranza mentre la stragrande maggioranza dei carabinieri (polizia, finanza, penitenziaria, militari e via seguendo) fa il proprio dovere.


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Giusto dirlo ma sarebbe ancora più giusto dirlo sempre, magari includendo i napoletani (la stragrande maggioranza non truffa il prossimo) i meridionali (la stragrande maggioranza ha voglia di lavorare) e gli stranieri (la stragrande maggioranza, anzi la quasi totalità di quelli che vivono in Italia non sono terroristi).
Però, come è noto dai tempi di Chicchennina, che in romanesco significa da molto tempo, c’è sempre la pessima abitudine di fare le distinzioni per gli amici e di fare di tutta l’erba un fascio per i nemici.
Ora che la terribile verità sulla morte di Stefano Cucchi sta emergendo in tutta la brutalità, forse qualche ragionamento più stringente va fatto.
Perché non si tratta del carabiniere stressato e manesco che si è lasciato andare contro il ‘tossico di merda’ (cit.) e poi ha cercato maldestramente di camuffare gli eventi.
No. Sta emergendo una filiera gerarchica che partendo dall’ultima ruota del carro e risalendo man mano a chi del carro forse aveva le redini ha pianificato un castello di menzogne che per molti anni ha negato verità e giustizia sulla morte di Stefano Cucchi, anche al prezzo di far finire sotto processo altri uomini dello Stato (gli agenti della Penitenziaria) che sono stati ingiustamente accusati anche a causa di quei depistaggi.
La sequenza è impressionante. Il carabiniere che aggiusta e mente su ordine del superiore, che a sua volta obbedisce al superiore del superiore, che a sua volta obbedisce al superiore del superiore del superiore in una sequenza da Fiera dell’Est.
Sarà l’inchiesta a stabilire chi siano penalmente i militari da portare a processo e saranno i giudici a valutare chi condannare o assolvere.
Ma da un punto di vista politico – da cittadino e dalla parte del ‘popolo’ come va di moda dire – emerge chiaramente che una riflessione seria andrebbe fatta anche sull’Arma dei carabinieri e dentro la stessa Arma dei carabinieri.
Perché quando non si muove il singolo, ma c’’è un’intera catena gerarchica a mettersi in modo per nascondere, depistare o – nella più favorevole delle letture – a minimizzare ritoccando, modificando e togliendo dalle relazioni di servizio, allora c’è qualcosa che non va.
Non si può parlare di singola mela marcia, ma da un punto di vista politico (sempre se si vuole andare fino in fondo) c’è da capire quanti e quali servitori dello Stato abbiano preferito venire meno al loro dovere pur di coprire un misfatto e a costo di negare per anni la verità sulla brutale morte di un giovane ragazzo.
Eppure – chi è più anziano lo sa – questo paese ha nella propria storia recente quella dei depistaggi dei servizi segreti sulle stragi e il terrorismo. All’epoca fu coniato il termine di ‘servizi segreti deviati’ che serviva a tanti per pulirsi la coscienza. Ossia c’era un apparato sano all’interno del quale c’erano alcuni poco di buono che – chissà perché – si divertivano a proteggere gli eversori.
In realtà non esistevano i servizi segreti ‘deviati’, c’era semmai per ragioni storico-politiche ben note (la Guerra Fredda) un sistematico uso deviato dei servizi segreti e i depistatori che sono stati condannati erano solo un ingranaggio del sistema che in quanto tale non è mai stato messo in discussione e che è morto solo con la fine della guerra fredda.
Ora i tempi sono totalmente diversi. La vicenda Cucchi non è la strategia della tensione, ma si tratta di qualcosa di gravissimo che getta un’ombra sullo Stato: la morte di questo ragazzo è avvenuta all’interno di un contesto poco lineare e che una democrazia ha il dovere di chiarire fino in fondo ed eliminare ogni zona d’ombra.
Proprio chi ha grande considerazione dell’Arma dei carabinieri di Salvo D’Acquisto e Carlo Alberto Dalla Chiesa, di coloro che hanno combattuto le mafie e il terrorismo anche al prezzo della vita deve pretendere il massimo della trasparenza e della pulizia. Sono una minoranza? Sì. Una stragrande minoranza? Certo.
Personalmente ho negli anni conosciuto decine e decine di carabinieri, poliziotti e servitori dello Stato del quale sono orgoglioso di essere stato o essere amico che in silenzio e senza diventare eroi mediatici hanno salvato vite, hanno difeso questo paese dai criminali, dal terrorismo e, in tempi più recenti, hanno impedito che nel nostro Paese ci fossero attentati come a Parigi, Londra o Bruxelles anche rischiando (sul serio) la vita.
Ma non si parli di singoli o di isolate mele marce. La vicenda Cucchi fa vedere che c’è qualcosa di più. Girarsi dall’altra parte sarebbe ipocrita e vigliacco.

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