L'assassinio di Soleimani: l'azzardo di Trump che può terremotare il Medio Oriente

Teheran promette vendetta mentre il miliardario si è assunto un rischio da cui muovono le dure critiche dei Democratici Usa all’avventurismo del capo della Casa Bianca.

Qassem Soleiman e Donald Trump
Qassem Soleiman e Donald Trump
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Gennaio 2020 - 10.38


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E’ molto più di una “eliminazione eccellente”. E’ una dichiarazione di guerra all’Iran. Perché Qassem Soleimani, era molto più della mente operativa del regime iraniano, l’uomo di fiducia della Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei.

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Qassem Soleimani, il potente generale iraniano capo delle milizie al-Quds dei Guardiani della Rivoluzione, la forza d’élite dell’esercito della Repubblica islamica, era colui che teneva le fila e i legami con tutte le milizie sciite mediorientali: da Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina, gli Houthi in Yemen, e l’arcipelago armato filo-iraniano in Iraq.  E’ considerato l’architetto di gran parte delle attività iraniane in Medio Oriente, compresa la guerra in Siria e gli attacchi su Israele.

Secondo il Pentagono Soleimani stava “attivamente mettendo a punto piani per colpire i diplomatici americani e uomini in servizio in Iraq e in tutta la regione”. “Il generale Soleimani ha anche approvato gli attacchi contro l’ambasciata americana a Baghdad che hanno avuto luogo questa settimana”, si legge ancora nella nota. Lo stesso Soleimani è considerato responsabile della morte di centinaia di militari della coalizione e di americani e di aver “orchestrato” l’attacco del 27 dicembre che ha ucciso un cittadino statunitense. Furono gli Usa a premere sull’Onu perché già nel 2007 venisse messo sulla lista delle persone da sanzionare. In seguito Soleimani divenne l’uomo chiave del sostegno iraniano al regime di Bashar al-Assad contro le rivolte scoppiate nel 2011 in Siria.

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Medio Oriente in fiamme

L’eliminazione di Soleimani è destinata a terremotare il Medio Oriente. Per Teheran è una sfida senza precedenti. E la risposta sarà durissima. “L’opera e il percorso del generale Qassem Soleimani non si fermeranno qui. Una dura vendetta attende i criminali, le cui mani nefaste si sono macchiate del sangue di Soleimani e degli altri martiri dell’attacco avvenuto la notte scorsa”. E’ il messaggio lanciato dall’ayatollah Khamenei, che ha proclamato tre giorni di lutto nazionale . “Gli iraniani e altre nazioni libere del mondo si vendicheranno senza dubbio contro gli Usa criminali per l’uccisione del generale Qassen Soleimani”: lo ha detto oggi il presidente iraniano Hassan Rohani, secondo quanto riporta l’agenzia stampa IRNA.

L’attacco, ha sottolineato, rafforza la determinazione dell’Iran di resistere e affrontare le aggressioni degli Stati Uniti. “Tale atto malizioso e codardo è un’altra indicazione della frustrazione e dell’incapacità degli Stati Uniti nella regione per l’odio delle nazioni regionali verso il suo regime aggressivo – ha proseguito -. Il regime americano, ignorando tutte le norme umane e internazionali, ha aggiunto un’altra vergogna al record miserabile di quel Paese”.  La guerra è iniziata. Gli Usa “devono cominciare a ritirare le loro forze dalla regione islamica da oggi, o cominciare a comprare bare per i loro soldati”, il vice capo delle Guardie della rivoluzione iraniane, Mohammad Reza Naghdi, citato dall’agenzia Fars. Naghdi ha aggiunto che “il regime sionista (Israele, ndr) dovrebbe fare le valigie e tornare nei Paesi europei, da dove è venuto, altrimenti subirà una risposta devastante dalla Ummah islamica” “Possono scegliere – conclude l’ufficiale iraniano – a noi non piacciono gli spargimenti di sangue”.

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“L’atto degli Usa di terrorismo internazionale, che ha preso di mira e assassinato il generale Soleimani – la forza più efficace nella lotta a Daesh (Isis), al Nusrah e al Qaeda – è estremamente pericoloso e rappresenta un’incosciente escalation”. Così su Twitter il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, dopo il raid Usa a Baghdad. “Gli Usa hanno la responsabilità di tutte le conseguenze di questo avventurismo da furfanti”.  Il leader sciita iracheno Moqtada al Sadr ha dato oggi l’ordine ai suoi combattenti di “tenersi pronti”, riattivando così la sua milizia ufficialmente dissolta da quasi un decennio e che aveva seminato il terrore tra le fila dei soldati americani in Iraq. Moqtada al Sadr ha postato l’annuncio su Twitter poche ore dopo l’assassinio a Baghdad da parte degli Stati uniti del generale iraniano. Il primo ministro iracheno dimissionario Adel Abdul-Mahdi ha parlato di un’«aggressione» nei confronti dell’Iraq, oltre che di una «violazione di sovranità», affermando che si tratta di una «pericolosa escalation». Abdul-Mahdi ha ricordato l’altra vittima eccellente dell’attacco Usa, Abu Mahdi Al-Mohandes, numero due delle potenti milizie sciite delle Unità di mobilitazione popolare, le Hashd Shaabi. Il premier iracheno ha definito Soleimani e Al-Mohandes due «simboli» della vittoria irachena sui militanti dell’Isis.

Pasdaran Holding

Sessantadue anni, figlio di contadini, storico comandante delle Guardie della Rivoluzione, amico del Leader Supremo Khamenei (che aveva officiato anche il matrimonio della figlia), Soleimani era uomo chiave del regime degli ayatollah. Negli ultimi vent’anni il generale aveva guadagnato una fama quasi mitica sia tra i suoi nemici sia tra i molti sostenitori iracheni. Qualcuno lo aveva paragonato a Karla, il capo delle spie sovietiche dei romanzi di John Le Carré. Parlare di quello iraniano come un regime teocratico è non comprendere che oggi quello che “regna” a Teheran è qualcosa di più complesso: un regime militare che fa della religione il suo collante ideologico. E al centro di questo impero c’è la “Pasdaran holding”.Secondo uno studio recente, i Pasdaran controllerebbero addirittura il 40% dell’economia iraniana: dal petrolio al gas e alle costruzioni, dalle banche alle telecomunicazioni. Un’ascesa che si è verificata soprattutto sotto la presidenza di Ahmadinejad, ma che è proseguita sotto quella di Rohani.

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I Pasdaran fanno direttamente capo alla Guida Suprema della Repubblica islamica dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei. E sempre la Guida Suprema controlla direttamente la Setad, una fondazione con 95 miliardi di dollari di asset presente in tutti i comparti dell’economia.  Doveva rimanere in vita solo un paio d’anni ma nel corso del tempo si è trasformata in un colosso immobiliare – 52 miliardi di asset – che ha acquistato partecipazioni in decine di aziende in quasi tutti i settori: finanza, petrolio, telecomunicazioni, dalla produzione di pillole anticoncezionali all’allevamento degli struzzi. Tra portafoglio immobiliare (52 miliardi di dollari) e quote societarie, 43 miliardi, la Setad ha un valore nettamente superiore alle esportazioni petrolifere iraniane dello scorso anno. Se si somma il potere diretto di Kamenei a quello, altrettanto pervasivo e radicato della “Pasdaran Holding”, si ha un quadro sufficientemente nitido su un regime teocratico-militare che si è fatto, per l’appunto, sistema. Un sistema che ha sempre più condizionato le politiche della Repubblica islamica dell’Iran. Per sostenere direttamente il regime di Assad, l’Iran, come Stato, attraverso le proprie banche, ha investito oltre 4,6 miliardi di dollari, che non includono gli armamenti scaricati quotidianamente da aerei cargo iraniani all’aeroporto di Damasco, destinanti principalmente ai Guardiani della Rivoluzione impegnati, assieme agli hezbollah, a fianco dell’esercito lealista. Non basta. Almeno 50mila pasdaran hanno combattuto in questi anni in Siria, ricevendo un salario mensile di 300 dollari. Lo Stato iraniano ha pagato loro anche armi, viaggi e sussistenza. E così è avvenuto anche per i miliziani del Partito di Dio. E al centro di questo impero c’era Qassem Soleimani.

L’azzardo di Trump

Il presidente Usa rivendica il suo ruolo di “commander-in-chiefnel decidere l’eliminazione del generale iraniano, e lo fa postando nella notte, a missione compiuta, una bandiera a stelle e strisce. Ma il suo è un azzardo che rischia di far esplodere la polveriera mediorientale. Un rischio da cui muovono le dure critiche dei Democratici Usa all’avventurismo del capo della Casa Bianca. Joe Biden, candidato alle presidenziali ed ex numero due di Barack Obama alla Casa Bianca, ha definito l’uccisione di Soleimani “un atto sconsiderato», come “gettare dinamite in una polveriera”. Sia Obama che Bush prima di lui avevano sempre escluso l’eliminazione del super-generale iraniano, temendo di innescare una guerra aperta in Medio Oriente. Un “atto provocatorio e sproporzionato”. Così la speaker della Camera dei Rappresentanti di Washington, Nancy Pelosi, ha definito l’uccisione di Soleimani. Un raid che – ha affermato – “rischia di provocare una pericolosa ulteriore escalation di violenza.

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L’America – e il mondo – non possono affrontare una escalation delle tensioni fino ad un punto di non ritorno”.  Pelosi ha sottolineato che il Congresso Usa non è stato consultato prima che il presidente Trump desse l’ordine di attacco. Ora si attende la risposta iraniana.

Le mosse di Israele

Israele ha riunito lo stato maggiore della Difesa e ha elevato lo stato di allerta. Per Tel Aviv, non è da escludersi una controffensiva. Secondo l’intelligence israeliana il generale iraniano aveva avuto un ruolo di primo piano nel progressivo potenziamento militare degli Hezbollah libanesi e delle ali militari di Hamas e della Jihad islamica a Gaza, nonché nella penetrazione militare iraniana in Siria. Il premier Netanyahu ha interrotto la sua visita ufficiale in Grecia per rientrare prima. La Jihad palestinese ha promesso di reagire: “Il gen. Qassem Soleimani è stato ucciso dal nemico americano-sionista mentre si trovava al fronte. Ci stringeremo tutti assieme contro questa aggressione”, è stato affermato in una nota. Un esponente di Hamas, Bassem Naim, ha avvertito che la sua scomparsa rischia di destabilizzare la regione. Espressioni di cordoglio sono giunte anche dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina. “Soleimani era un leader che amava combattere sul terreno – ha dichiarato in un comunicato. – Si era schierato con la resistenza in Palestina, in Libano, nello Yemen e ovunque”. “Con questa uccisione – ha aggiunto – l’America ha spalancato le porte dell’inferno”.

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L’allarme nel mondo arabo per la vendetta sciita

“Qassem Soleimani è morto da shahid (martire, ndr) e noi lo vendicheremo”, proclama il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Ma l’allarme rosso non è scattato  solo nello Stato ebraico, ma in Libano, in Yemen, in Arabia Saudita (la potenza sunnita acerrima nemica dell’Iran sciita) , in Giordania, in Egitto oltre che, naturalmente, in Iraq. Trump ha forzato la mano: in chiave elettorale, l’uccisione di Soleimani non vale quella del “califfo” al-Baghdadi, ma sul piano geopolitico riporta l’America al centro della “partita mediorientale”. Una partita insanguinata.

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