Trump canta vittoria sullo Yemen ma al Qaeda 2.0 è sempre più forte
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Trump canta vittoria sullo Yemen ma al Qaeda 2.0 è sempre più forte

Alla “Guerra Santa” combattuta sul campo si affianca un’altra jihad non meno inquietante: la Cyber jihad con tanti aspiranti hacker

Al Qaeda
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Febbraio 2020 - 18.32


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Era un pezzo da Novanta della “nuova al-Qaeda” del post Bin Laden. Al-Qaeda 2.0. Qasim al-Rimi, comandante di al-Qaeda nella Penisola arabica (Aqap), è stato ucciso dagli Stati Uniti durante un raid in Yemen. Ad annunciarlo è stato ieri la Casa Bianca con un comunicato.

“Rimi – si legge nella nota – è entrato a far parte di al-Qaeda negli anni ’90, lavorando in Afghanistan per Osama bin Laden. Sotto di lui, Aqap ha commesso violenze inconcepibili contro i civili nello Yemen e ha cercato di condurre e ispirare numerosi attacchi contro gli Stati Uniti e le nostre forze”. ‘Continueremo a proteggere il popolo americano eliminando i terroristi che cercano di colpirci”, ha twittato Donald Trump. “Sotto al-Rimi, al-Qaeda nella Penisola arabica ha commesso atti di violenza inconcepibile contro i civili in Yemen e ha cercato di condurre molti attacchi contro gli Stati Uniti e le nostre forze”, ha affermato Trump.

“La sua morte indebolisce ulteriormente al-Qaeda nella Penisola arabica e il movimento “globale di al-Qaeda, e ci avvicina all’eliminazione delle minacce che questi gruppi rappresentano per la nostra sicurezza nazionale”, ha aggiunto. Trump non ha fornito informazioni sulla data del raid aereo che ha portato all’uccisione di al-Rimi, ma nei giorni scorsi il New York Times aveva anticipato la notizia della morte di al-Rimi a gennaio. Il fondatore e leader di al-Qaeda in Yemen era in cima alla lista dei terroristi più pericolosi e su di lui pendeva una taglia da 10 milioni di dollari.

Colpo pesante

Al- Raymi, quarantuno anni, era da mesi nel mirino dell’intelligence americana e la Cia aveva individuato la sua collocazione lo scorso novembre, grazie a informatori locali. Nato in Yemen e addestrato nei campi di al-Qaeda in Afghanistan, al-Raymi era stato in carcere per cinque anni con l’accusa di aver pianificato l’uccisione dell’ambasciatore americano nel Paese. Il 3 febbraio del 2006, assieme ad altri 23 militanti di al-Qaeda, al-Raymi riuscì a evadere da un carcere dello Yemen. L’anno dopo si parlò di lui come uno dei responsabili dell’attentato contro un gruppo di turisti diretto verso un sito archeologico nella provincia di al-Marib. Le nove vittime erano sette spagnoli e due yemeniti. Nel 2009, le autorità di Sanaa lo hanno indicato come il responsabile di un campo di addestramento di al-Qaeda nella provincia di Abyan.

Il dipartimento di Stato americano aveva posto sulla sua testa una taglia di cinque milioni di dollari per chi avesse fornito informazioni utili alla sua cattura e di dieci milioni di dollari a chi avesse favorito la sua eliminazione fisica come sospetto per l’attentato contro l’ambasciata di Washington a Sanàa nel 2008. Nella nota della Casa Bianca si legge che al-Raymi si era unito ad Al-Qaida negli anni Novanta, lavorando in Afghanistan per Osama bin Laden. Sotto la sua guida, il gruppo terroristico “ha commesso violenze incalcolabili contro civili in Yemen e ha cercato di compiere e ispirare numerosi attacchi contro gli Usa e le nostre forze”. Al-Qaeda nella Penisola arabica è considerata la branca più pericolosa dell’organizzazione, assieme a quelle che opera nel Maghreb e nel Sahel e la scorsa settimana ha rivendicato l’attacco alla base militare di Pensacola, Florida, condotto da un allievo saudita lo scorso dicembre. “Ci congratuliamo con la nostra nazione musulmana e rivendichiamo l’operazione del martire, il coraggioso cavaliere Muhammad bin Saeed Al-Shamrani”.

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Al Qaeda 2.0

In origine, l’organizzazione terroristica di Osama bin Laden aveva fatto dell’Afghanistan in mano ai compiacenti Talebani il proprio feudo territoriale: lì i qaedisti avevano i loro campi di addestramento, lì avevano trovato rifugio e protezione i vertici dell’organizzazione terroristica. Fino alla sconfitta militare venuta al seguito della reazione americana all’11 Settembre. Ma proprio sulle macerie afghane, al Qaeda ha ridefinito se stessa, trasformandosi da organizzazione centralizzata in un sistema a rete. Una piovra dai mille tentacoli, e per questo più insidiosa, difficile da contrastare.

L’obiettivo qaedista è analizzato in un lungo  report del Soufan Center di New York dedicato ad al Qaeda nel Subcontinente indiano (Aqis) dove non solo si conferma che è sbagliato parlare di questa organizzazione come se fosse attiva solo in determinate aree di guerra tipo lo Yemen o la Libia, ma si spiega l’infiltrazione proprio in quelle aree apparentemente calme come l’India per cercare agganci locali finalizzati a obiettivi globali. Il principale obiettivo resta la riconquista della leadership del jihadismo, “scippata” dall’Isis fin dall’annuncio della nascita del Califfato fatto da al-Baghdadi nel 2014. Afghanistan e Pakistan sono a un passo dall’India e il ruolo di al Qaeda nella tormentata vicenda afghana è sempre rilevantissimo.

Non sembrano esserci dubbi sul fatto che al-Qaeda non solo sia sopravvissuto a un assalto globale e a gravi rotture interne, ma abbia superato la perdita del suo fondatore, Osama bin Laden e di altri leader in una campagna di omicidi guidata dagli Stati Uniti per ricostruire silenziosamente se stessa in una forza che vanta fino a 40.000 combattenti hardcore. “Quasi nove  anni dopo l’uccisione di Osama bin Laden, al-Qaeda è numericamente più grande e presente in più paesi rispetto a qualsiasi altro momento della sua storia”, ha osservato l’analista statunitense Bruce Hoffman.

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Il successore di Bin Laden, il veterano jihadista egiziano Ayman al-Zawahiri, ha forgiato un’organizzazione ristrutturata che Hoffman, specialista in terrorismo e insurrezione, rappresenta una minaccia senza precedenti per i governanti occidentali e musulmani che si oppongono ad al-Qaeda. “Dall’Africa nord-occidentale al sud-est asiatico, al-Qaeda è stata in grado di mettere insieme un movimento globale di circa due dozzine di franchising locali”, ha scritto Hoffman in un’analisi per il Council on Foreign Relations con sede negli Stati Uniti. Una tesi che trova d’accordo altri analisti.

Hoffman calcola che al-Qaeda, sopravvissuta alla più pesante campagna antiterrorismo intrapresa dall’Occidente, può contare su  “10.000-20.000 combattenti in Siria, 7.000-9.000 in Somalia, 5.000 in Libia, 4.000 in Yemen, un numero simile diffuso in tutto il Maghreb e il Sahel, 3.000 in Indonesia e circa 1.000 nell’Asia meridionale. ” Non ha menzionato l’Asia centrale, dove un gran numero di musulmani aderisce al marchio jihadista di al-Qaeda. Diverse migliaia di combattenti di organizzazioni dell’Asia centrale si trovano nel nord della Siria e si ritiene che seguano le politiche del centro di al-Qaeda. Sempre secondo l’analista americano, la strategia di al Zawahiri è stata pensata “per proteggere la sua leadership e consolidare  la sua influenza ovunque il movimento avesse una presenza significativa”. Il piano di Zawahiri, spiega Hoffman, , si basava su tre mosse strategiche: “rafforzare l’approccio decetralizzato in franchising”; evitare operazioni per vittime di massa, “in particolare quelle che potrebbero uccidere civili musulmani” e alienare un gran numero di musulmani, e “lasciare che l’Isis assorbisse  atutti i colpi della coalizione schierata contro di essa” mentre al-Qaeda ricostruiva  sottotraccia la sua forza militare. Questo piano ha permesso alla nuova al-Qaeda di presentarsi come “estremisti moderati – un rivale meno irritato e apparentemente più appetibile dell’ISIS”, conclude Hofman.

Isaac Kfir, direttore del National Security Program presso l’Australian Strategic Policy Institute, ha osservato che le comunicazioni sicure consentono a “al-Qaeda di adottare una strategia” glocalista “che collega le istanze locali con la sua campagna globalista”.

La cyber-qaeda

Alla “Guerra Santa” combattuta sul campo si affianca un’altra jihad non meno inquietante: la Cyber jihad. Come dimostrano la creazione di una facoltà per aspiranti hacker presso l’Università Al Qaeda per le “scienze della Jihad” e l’istituzione in Pakistan di una cyber-università specializzata in sistemi che via Internet controllano acquedotti, dighe, gasdotti, pipeline petroliferi e centrali nucleari, l’importanza del Web nella rete terroristica è ormai un dato inconfutabile.

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Una realtà con la quale occorre confrontarsi e dalla quale, aveva rimarcato in  tempi non lontani in un suo libro “profetico” lo svedese Magnus Ranstorp,  tra i più autorevoli esperti di  cyber terrorismo,  arriveranno nuove e pericolose minacce. Accanto ai tradizionali attentati, prevedeva Ranstorp, massicci attacchi online mirati a provocare gigantesche perdite economiche. Una sorta di Perl Harbor digitale in cui a una bomba contro un quartiere finanziario importante di una grande capitale occidentale i terroristi potrebbero combinare massicci attacchi contro i principali snodi chiave dell’economia come i sistemi di trasferimento finanziario. Cosa che è poi avvenuta.
“Al Qaeda ha passato molto più tempo di quanto pensassimo a studiare il cyberspazio e attaccherà nei punti più sensibili –sosteneva Ranstorp- Bin Laden è più interessato ad abbattere il sistema che a uccidere persone. Ormai non è più una questione di se, ma di quando userà la cyber-guerra”.

Minaccia globale

“A qualunque livello al-Qaeda abbia imparato dai suoi errori e modificato la sua strategia, i recenti adattamenti del gruppo lo rendono più pericoloso – e potenzialmente più attrattivo”, rileva Thomas R. McCabe, ex analista di antiterrorismo del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Charles Lister, direttore dell’antiterrorismo e dell’estremismo presso il Middle East Institute, che ha studiato per anni i jihadisti sul campo, osserva che, anche con la radicale riorganizzazione di Zawahiri, molti jihadisti militanti rimangono al di fuori di al-Qaeda 2.0  sebbene “restino totalmente fedeli alla visione di  Osama bin Laden della jihad globale. “Molti di questi lealisti di al-Qaeda  – aggiunge – si sono ora uniti a un nuovo gruppo jihadista noto come Tanzim Huras al-Din, o Organizzazione dei Guardiani Religiosi”, che sembra rientrare nell’ambito della nuova filiera di Zawahiri in Siria.Guidato da veterani di al-Qaeda, inclusi almeno tre membri del consiglio di leadership globale del gruppo, Huras al-Din è un movimento profondamente pericoloso che rappresenta una potente minaccia terroristica per le attività statunitensi in Medio Oriente e oltre”, avverte Lister. Una minaccia che resta tale anche dopo l’eliminazione di Qasim al-Rimi.

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