Tunisia, Di Maio fa il Salvini: i soldi della cooperazione come arma di ricatto

Le linea del ministro degli Esteri è quella di essere forte con i deboli e debole con i forti: ha convocato l'ambasciatore tunisino ma non sia mai che l'abbia fatto con quello egiziano

Luigi Di Maio
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Agosto 2020 - 10.01


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Di Maio alza la voce e chiude i cordoni della Borsa, come un Salvini qualunque. Il sempre più improbabile ministro degli Esteri, probabilmente infastidito dall’attivismo “mediterraneo” della sua collega ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha deciso di tornare alla ribalta mediatica, annunciando lo stop ai fondi per la cooperazione allo sviluppo fino a quando la Tunisia non dimostrerà una maggiore collaborazione nel contrasto alle partenze dalle sue coste.

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Non contento della sparata, giovedì ha convocato alla Fernesina l’ambasciatore tunisino chiedendo maggiori controlli sulle coste del Paese nordafricano e una rapida ripresa dei rimpatri. Convocare un ambasciatore è, sul piano diplomatico, un atto importante, grave. Che il ministro Di Maio si è guardato bene dal fare nei riguardi dell’ambasciatore egiziano dopo l’ennesima presa in giro sul caso Regeni o per esprimere la riprovazione italiana per il trattamento inflitto dalle autorità egiziane a Patrick Zaki.

Ma si sa, Giggino è forte con i deboli e debole con i forti.

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“Vi chiedo di sospendere questo stanziamento da 6,5 milioni di euro in attesa di un piano integrato più ampio proposto dalla viceministra del Re e di un risvolto nella collaborazione che abbiamo chiesto alle autorità tunisine in materia migratoria”, ha detto il ministro pentastellato al comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo della Farnesina. “Siamo tutti perfettamente consapevoli – ha aggiunto – dell’importanza della cooperazione per lo sviluppo verso alcuni Paesi, anche al fine di prevenire flussi migratori incontrollati, ma in questa fase in cui a Tunisi, che ricordo essere un porto sicuro, stiamo avanzando chiarimenti circa l’incremento degli sbarchi verso l’Italia è bene avere un approccio a 360 gradi. Anche perché si tratta di interventi a favore delle comunità locali, fondamentali per contenere il rallentamento dei flussi”.

Non soffermatevi sulla canonica attestazione “dell’importanza della cooperazione per lo sviluppo verso alcuni Paesi”, perché la sostanza è un’altra. E gravissima. E’ usare i soldi della cooperazione come arma di ricatto: se fai il bravo te li diamo, altrimenti ti arrangi. E fare il bravo, per il titolare della Farnesina, significa garantire l’esternalizzazione delle frontiere, non importa se questo significa ricacciare indietro decine di migliaia di disperati, intercettati in mare, e ricacciarli nei lager libici.

E’ questo che il ministro di Maio vorrebbe dalla Tunisia? Fare come in Libia? Prendere a modello la cosiddetta Guardia costiera libica, una vera e propria fucina di crimini? Cosa ha da dire in proposito il presidente del Consiglio, e soprattutto, cosa aspettano i leader, o presunti tali, delle forze progressiste e di sinistra, che del Conte II fanno parte? Una cosa è certa: l’ultima uscita di Di Maio conferma che sul Mediterraneo e la securizzazione della questione migranti, il Conte II è la fotocopia in peggio del Conte I.

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