Globalist lo aveva anticipato. Ed ora è diventato un caso diplomatico esplosivo. E’ il “Patto del Caucaso” tra il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. La versione turco-israeliana del vecchio adagio secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. E’ il nemico comune al Sultano e a “King Bibi” sul fronte azero-arbaijano” si chiama Iran.
Il governo armeno ha ritirato l’altro ieri il suo ambasciatore da Tel Aviv, accusando Israele di vendere armi all’Azerbaijan, suo rivale per il controllo della regione del Nagorno Karabakh.
Anna Naghdalyan, portavoce del Ministero degli Esteri dell’Armenia, ha criticato aspramente il governo israeliano: “Il modo di lavorare di Israele è inaccettabile. Il ministero deve richiamare il suo ambasciatore in Israele”.
In una video intervista con il sito web israeliano Walla news, mercoledì, l’aiutante presidenziale azero Hikmat Hajiyev ha detto che l’Azerbaigian stava usando “alcuni” droni israeliani nei combattimenti intorno al Nagorno-Karabakh, senza specificare quanti. “Abbiamo una delle più forti flotte (di droni) della regione. E tra queste abbiamo quelle israeliane, abbiamo anche altri droni, ma soprattutto droni israeliani, compresi i droni da ricognizione e da attacco, e i droni kamikaze ‘Harop’, (che) si sono dimostrati molto efficaci”, ha affermato Hajiye
Solo un anno fa (settembre 2019) l’Armenia aveva annunciato l’apertura di una ambasciata in Israele (il 90mo Paese a farlo). L’allora ministro degli Esteri israeliano Yisrael Katz aveva accolto con grande favore la notizia., dichiarano che “la decisione del governo armeno di aprire un’ambasciata in Israele è un passo avanti significativo nello sviluppo delle relazioni bilaterali. Un importante passo avanti per tutti.”
Ma un anno dopo, l’Armenia è tornata sui suoi passi.
Come riporta il sito israeliano Debkafile specializzato in notizie di intelligence soprattutto riguardanti il Medio Oriente, il ritiro dell’ambasciatore armeno ha provocato “dispiacere” al governo d’Israele. Il ministero degli Esteri ha dichiarato di essere rammaricato per la decisione dell’Armenia, sottolineando che Israele considera importanti le relazioni con lo Stato caucasico.
“Israele attribuisce importanza alle relazioni con l’Armenia e in questa cornice considera l’ambasciata armena in Israele come uno strumento per incoraggiarle a beneficio di entrambi i popoli”, ha sottolineato il governo israeliano, riporta l’Agenzia Nova.
Il consigliere presidenziale azero Hikmat Hajiyev ha dichiarato di aver impiegato “alcuni” droni di fabbricazione israeliana nei combattimenti contro l’esercito armeno.
I militari azeri hanno infatti elogiato “l’effetto devastante” dei droni made in Israel. Secondo i dati del Sipri (Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma), nel periodo 2017-2019, Israele è stato il primo fornitore straniero di armi all’Azerbaijan, per un volume di 375 milioni di dollari. Gli accordi sulle armi includono droni, missili, radar, artiglieria, barche e equipaggiamenti di intelligence, che secondo l’opposizione azera sono anche usati per spiare i rivali di Aliyev e i dissidenti azeri. Alcune delle tecnologie militari israeliane, in particolare droni e proiettili di artiglieria, furono usate dall’esercito azero contro le truppe armene nelle schermaglie tra i due nemici. “Per Israele, è solo commercio, ma per noi, è la morte” – ha dichiarato il ministro degli Esteri armeno Zohrab Mnatsakanyan a Foreign Policy.
“Le esportazioni di armi israeliane verso l’Azerbaigian – annota Zvi Bar’el analista di punta di Haaretz – sono stimate in miliardi di dollari e questa settimana è stata segnalata un’altra spedizione di armi e attrezzature, che saranno certamente utilizzate nella guerra in Karabakh. Tra gli oggetti venduti da Israele vi erano droni, armi di piccolo calibro, tecnologia avanzata per la raccolta di informazioni e munizioni, nell’ambito dell'”alleanza militare” in cui, secondo fonti straniere, l’Azerbaigian permette a Israele di raccogliere informazioni sul vicino Iran. In passato, secondo le valutazioni pubblicate, Israele poteva utilizzare il territorio azero come base per effettuare attacchi all’Iran. Dal canto suo, la Turchia vede l’Azerbaigian come parte della sua sfera d’influenza, che comprende alcuni Paesi musulmani dell’Asia centrale e del Caucaso, come il Turkmenistan, l’Azerbaigian e il Kazakistan, che hanno un’affinità con la cultura e la storia dei popoli turchi. L’inimicizia storica tra l’Impero Ottomano, e più tardi la Repubblica Turca, e l’Armenia e gli Armeni – il cui culmine è arrivato con il Genocidio Armeno oltre 100 anni fa – è ancora viva in Turchia e ha contribuito in modo significativo anche alle sue strette relazioni con l’Azerbaigian. L’Azerbaigian è una delle pochissime aree in cui Israele e la Turchia vedono convergere i propri interessi. Il Paese fornisce circa il 40% del petrolio che raggiunge Israele attraverso l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che inizia in Azerbaigian e termina in Turchia. Questo oleodotto, di cui oltre mille chilometri si trova all’interno della Turchia – e per il quale riceve le royalties – è in grado di trasportare 1,2 milioni di barili di petrolio al giorno, pari a circa l’1% della produzione petrolifera mondiale”.
Negli ultimi giorni è partito per Israele un “ponte aereo” di velivoli da carico del ministero della Difesa azero. Secondo le applicazioni radar di volo, gli aerei da carico si sono fermati alla base aerea di Ovda nel sud di Israele prima di partire per l’Azerbaijan.
“All’inizio di quest’anno è stato riferito che la Elbit Systems di Israele ha venduto il drone SkyStriker all’Azerbaigian. La Turchia vorrebbe offrire il suo Bayraktar e altri droni anche a Baku. Si tratta di una competizione, o le diverse capacità di Israele e della Turchia potrebbero combaciare bene? L’industria dei droni della Turchia è un fenomeno recente, mentre Israele è storicamente uno dei leader del settore. Una volta la Turchia ha addirittura acquisito i droni Heron di Israele. È possibile che tutti possano lavorare bene insieme in questo Paese terzo”, annota a sua volta Seth J. Frantzman sul Jerusalem Post, quotidiano vicino alla destra israeliana.
In sintesi: il 60% dell’approvvigionamento di armi dell’Azerbaigian proviene da Israele, mentre gran parte della fornitura di petrolio di Israele proviene dall’Azerbaijan. Se si aggiunge a tutto questo, l’obiettivo di contenere l’espansionismo iraniano nel Grande Medio Oriente, ecco spiegato il sostegno israeliano agli azeri.
.Quel genocidio negato
Nonostante l’esperienza del genocidio sia ampiamente sentita in Israele, lo stato ebraico ha costantemente rifiutato di riconoscere che quello che è successo al popolo armeno nel 1915 ad opera degli Ottomani è stato un genocidio. Una decisione non deriva tanto dal desiderio di monopolizzare la propria esperienza e di ritrarre l’Olocausto come un evento storico unico e senza precedenti, ma si tratta principalmente uno stratagemma politico –secondo quanto ha spiegato il politologo israeliano Yossi Melman sempre su Foreign Policy.
Per molti anni, Israele ha temuto l’ira della Turchia se avesse riconosciuto il genocidio. Dalla fine degli anni ’50, la Turchia era un importante alleato strategico dello stato ebraico, uno dei suoi pochissimi amici, l’unico dopo la rivoluzione iraniana, nel mondo musulmano. C’erano stretti legami tra l’intelligence delle due nazioni e tra gli istituti di sicurezza, e la Turchia era un mercato importante e redditizio per le armi israeliane. Ogni volta che parlamentari israeliani, attivisti per i diritti umani e storici chiedevano il riconoscimento del genocidio armeno, l’iniziativa era bloccata dal governo. Indipendentemente da ideologia e orientamento politico, i governi israeliani che si sono succeduti, sapendo che qualsiasi riconoscimento di quanto accaduto agli armeni nel 1915-17 come genocidio avrebbe irritato la Turchia e messo a repentaglio le relazioni commerciali e di sicurezza, hanno accettato di definire “Metz Yeghern” non come “genocidio”, ma come una “tragedia”.
Netanyahu teme che riconoscere il genocidio armeno possa far sì che Israele perda le entrate dal mercato azero e che Aliyev, che è anche un buon amico di Erdogan, possa porre fine alla presenza dell’intelligence israeliana nel suo paese. Una presenza, alle frontiere dell’Iran, che Israele giudica fondamentale per la sua sicurezza.
L’articolo del politologo israeliano ha avuto ampia eco sulla stampa armena, e in particolare l’appello con cui Melman, puntando sulla forte empatia della società israeliana nei confronti di un altro popolo vittima di genocidio, conclude la sua riflessione: “È arrivato il momento che Israele ponga termine ail suo linguaggio evasivo sull’Armenia al servizio di interessi economici. Un genocidio è un genocidio. È l’obbligo morale di Israele nei confronti dell’umanità e della memoria dei 6 milioni di ebrei uccisi nell’Olocausto, di riconoscere il genocidio armeno, così come ha riconosciuto il genocidio ruandese”.
Il governo israeliano si è astenuto dal rilasciare dichiarazioni sulla situazione nel Caucaso meridionale. Ufficialmente non si sta schierando, e ha anche relazioni diplomatiche con l’Armenia, che solo due settimane fa ha aperto la sua prima ambasciata a Tel Aviv. I funzionari israeliani sottolineano tranquillamente che “abbiamo interessi da entrambe le parti”, e Israele non sfiderà certo apertamente il governo russo, che è uno dei ”mecenati” dell’Armenia (sebbene venda armi anche all’Azerbaigian). Israele considera l’Azerbaigian un alleato strategico. La cleptocrazia sul Caspio è la fonte di gran parte del petrolio che Israele acquista e, per la sua posizione geografica, una “backdoor” estremamente utile al vicino Iran per l’intelligence e altri scopi clandestini – soprattutto perché il Paese a maggioranza sciita è anche decisamente laico e da tempo sospetta delle ambizioni espansioniste della repubblica islamica a sud.
Il disegno neo-ottomano
“La Turchia del presidente-egolatra Tayyip Erdogan è ormai impegnata compulsivamente in ogni scenario di crisi mediorientale: dalla Siria alla Libia e ora anche qui in Caucaso – annota in un articolo per La Stampa Riccardo Radaelli, docente di Geopolitica alla facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica – Il sostegno turco a Baku è massiccio e evidente, dalla copertura area alle forniture tecnologiche fino alle voci dell’invio dei miliziani jihadisti, per anni addestrati e protetti dalla Turchia, e che oggi servono come mercenari di Erdogan in ogni focolaio di guerra. L’Armenia può contare solo su una svogliata benevolenza russa, che ha interesse a tenere lo statu quo e a impedire che il governo di Everan venga umiliato, sul tradizionale appoggio diplomatico francese e sull’aiuto – in passato anche militare – dell’Iran. Quest’ultimo è un paese musulmano sciita come sono gli Azeri, tuttavia Teheran teme che il rafforzamento dell’Azerbaijan produca tensioni con la propria forte minoranza azera interna. A dimostrazione ulteriore di quanto poco conti qui il fattore religioso”.
La destra israeliana non ha dubbi da che parte stare. “Un Azerbaigian forte che possa servire da occhi e orecchie d’Israele a Teheran, e che possa difendersi dall’aggressione armena, è nell’interesse di Israele. Nonostante la pandemia, il governo israeliano dovrebbe fare tutto il possibile per aiutare l’Azerbaigian in questo momento critico”, scrive Rachel Avraham su Israel Hayom, giornale molto vicino a Netanyahu. “Israele è stato uno dei primi Paesi a riconoscere questo Stato caucasico poco dopo la dichiarazione di indipendenza nel 1991. Dall’indipendenza dell’Azerbaigian, quasi 30 anni fa, le relazioni tra lo Stato ebraico e quello musulmano sciita sono cresciute e fiorite. Entrambi devono guardare l’Iran da vicino; entrambi hanno cose che l’altro vuole. E la relazione ha funzionato per decenni. Non c’è motivo di ‘ripensare’ questo rapporto, perché francamente è uno dei migliori che ci sia”, le fa eco sul Jerusalem Post Alexander Goldenstein, ex caporedattore di IzRus.co. Una tesi tutt’altro che isolata. Scrive in proposito su Haaretz Rishad Kalimov: “La cooperazione strategica e l’intesa tra Azerbaigian e Israele – che esiste in numerosi settori, tra cui la difesa e la sicurezza, nonostante i molteplici tentativi di minarla – è qualcosa di cui i veri patrioti dovrebbero essere orgogliosi, non il contrario”.
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