Zaki: la grande Scarlett Johansson e il piccolo ministro italiano

La star del cinema ha fatto un video per chiedere la "scarcerazione" di quattro attivisti egiziani tra cui Patrick Zaki, lo studente dell'università di Bologna in cella con l'accusa di propaganda sovversiva.

Zaky e Scarlett Johansson
Zaky e Scarlett Johansson
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Dicembre 2020 - 18.19


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Una grande attrice, un piccolo ministro. Far sentire la propria voce in Egitto oggi è pericoloso”. Inizia così il video girato dalla star del cinema Scarlett Johansson per chiedere la “scarcerazione immediata” di quattro appartenenti all’Ong egiziana per la difesa dei diritti civili “Eipr” tra cui Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna in custodia cautelare con l’accusa di propaganda sovversiva.

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Loro devono continuare a lavorare per la difesa dei diritti civili, dice l’attrice americana, perché “rappresentano il coraggio”. “Quattro esseri umani sono stati ingiustamente incarcerati mentre facevano il loro lavoro, lottavano per la dignità degli altri: Gasser Razek, Karim Ennarah, Mohamed Basheer e Patrick Zaki, dell’Iniziativa egiziana per i diritti personali”. I primi tre – arrestati tra il 15 e il 19 novembre – sono il direttore esecutivo, il direttore per la giustizia penale e il responsabile amministrativo dell’organizzazione.

“Chiedo il loro immediato rilascio”, afferma Scarlett con tono deciso, mostrandosi in primo piano nella clip, senza trucco e con i capelli legati. “Questi uomini hanno speso la vita combattendo le ingiustizie e adesso si trovano dietro le sbarre. Contro di loro vengono mosse false accuse che potrebbero portare a lunghe pene detentive, quando il loro unico crimine è stato difendere la dignità degli egiziani». La star di Hollywood spende poi alcune parole per ognuno degli attivisti: “Karim passerà il suo 37esimo compleanno in prigione, voglio dirgli che non è solo. La moglie di Mohamed è disperata perché le stanno negando la possibilità di andarlo a trovare. A Gasser gli sono state tolte le coperte mentre era in una cella d’isolamento fredda come il giacchio. Patrick è stato torturato al momento dell’arresto”.

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“Un governo veramente democratico dovrebbe celebrare uomini coraggiosi come loro”, conclude Scarlett, “non certo metterli in prigione”.

Bologna non dimentica Patrick

“Stiamo pagando un prezzo troppo alto in termini di credibilità e di relazioni autentiche con un Paese che si dice nostro alleato”. E’ il duro intervento del sindaco Virginio Merola, il 23 novembre scorso, in Consiglio comunale. Il primo cittadino sollecita quindi il Governo a fare di più rispetto alla vicenda di Patrick George Zaki, lo studente dell’Alma Mater incarcerato in Egitto che si è visto prorogare la detenzione preventiva. “E’ ora di agire attraverso tutti i canali diplomatici possibili e quelli necessari a definire una presa di posizione chiara non della città, del sindaco, del Consiglio comunale ma del nostro Governo perché l’Italia e l’Europa insieme chiedano libertà per Zaki e giustizia per Giulio Regeni”.

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Quando assieme all’Università e ad Amnesty International “abbiamo iniziato il lungo percorso per chiedere la libertà di Patrick- ha affermato Merola in quell’occasione – eravamo forse tutti convinti che questo percorso non sarebbe stato né corto né semplice, ma avevamo e abbiamo tuttora la convinzione che non può essere un affare interno dell’Egitto, perché il cittadino Zaki è uno studente dell’Alma Mater e come studente per noi, per tutta la città, è un cittadino di Bologna”. Il rispetto dei diritti umani “non può essere una questione nazionale”, ha aggiunto Merola, non “in Europa e nei rapporti internazionali che abbiamo”. Patrick Zaki è in carcere “senza un procedimento da ormai nove mesi, in una catena di rinnovi della custodia preventiva che sembra non avere fine”, sottolinea il sindaco. “Con Regeni, purtroppo, abbiamo dovuto assistere finora a una finta collaborazione giudiziaria, la nostra magistratura è a un passo dal dichiarare la fine delle indagini e l’individuazione di responsabili di cui verificare le colpe, con Zaki invece – rimarca Merola- assistiamo al puro arbitrio e si aggiunge, ora, la caccia uomo verso l’ong che sta chiedendo la sua liberazione”. 

Due pesi, due misure.

Il 20 gennaio prossimo Joe Biden entrerà ufficialmente alla Casa Bianca, ma alcuni effetti iniziano a vedersi già pochi giorni dopo la sua elezione a 46° presidente degli Stati Uniti. 

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. Soltanto così si può spiegare l’ordine di scarcerazione arrivato il 9 novembre scorso di cinque cittadini egiziani dal carcere di Tora. Si tratta dei cugini di Mohamed Soltan, avvocato e difensore dei diritti umani egiziano ma cittadino statunitense dall’età di 7 anni, arrestati l’estate scorsa al Cairo. La lettera firmata da 56 membri Democratici del Congresso americano, compresi Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, avversari di Biden alle ultime primarie, e inviata al presidente Abdel Fattah al-Sisi ad ottobre andava dritta al punto: “Presidente, dia l’ordine di rilasciare gli attivisti e i detenuti di coscienza reclusi nelle vostre carceri. Con Joe Biden presidente i diritti umani torneranno a essere una priorità nel rapporto col suo Paese”.

Nel testo della missiva, oltre alle raccomandazioni di fondo, c’era una lunga lista di nomi e per ognuno si chiedeva l’immediata scarcerazione. Tra questi proprio i parenti di Mohamed Soltan. Della lista, tuttavia, faceva parte anche Patrick Zaki.  Ma per lui le porte del carcere sono rimaste chiuse.

Letargo egiziano

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Neanche il video di una star cinematografica sembra riuscire a smuovere Luigi Di Maio dal suo “letargo egiziano”. Silenzio su Zaki, silenzio su Regeni e l’ultima provocazione arrivata dal Cairo. “Ogni critica” da parte della famiglia Regeni “è legittima e comprensibile e deve essere una spinta” per il governo: “Come uomo di Stato dico che noi stiamo facendo il massimo”.  E’ quanto aveva affermato il titolare della Farnesina il 16 luglio in audizione davanti alla commissione d’inchiesta sul caso Regeni alla Camera. In quell’occasione, Di Maio aveva sottolineato il “fortissimo impegno degli esecutivi di cui ho fatto parte, con un’azione continua e insistente” sulla quale “non devono esserci cali di tensione”. “È giusto pretendere anche nella società civile la verità e questo è un altro strumento di pressione sulle autorità egiziane, italiane e europee, che devono a mio parere sentirsi coinvolte molto di più”, ha aggiunto. “Quando sono arrivato alla Farnesina – ha detto ancora – era un anno che le procure non avevano più contatti. Subito dopo l’incontro con la famiglia assicurai l’impegno a voler far riprendere i contatti tra le procure. Anche perché era fondamentale per permettere passi in avanti. Con enorme difficoltà e con la pandemia di mezzo abbiamo fatto riprendere i contatti tra le procure e crediamo che l’azione del corpo diplomatico stia producendo questo processo che non è nato dal nulla”.  E ancora: “Riteniamo necessario coinvolgere costantemente al più alto livello le autorità del Cairo” sul caso e in tal senso “è fuorviante credere che avere un nostro ambasciatore al Cairo significhi non perseguire la verità e viceversa è fuorviante pensare che ritirarlo sia necessario per arrivare alla verità”, Di Maio dixit. “Tutto il governo – aveva aggiunto – comprende il dolore della famiglia Regeni” ma la presenza dell’ambasciatore “rientra nella strategia” dell’esecutivo anche “per chi come Patrick Zaki  è ancora lì”.

 Uno degli strumenti di pressione” per far progredire il caso sulla morte di Giulio Regeni ” è continuare nell’azione che porta avanti il corpo diplomatico in Egitto, che è sempre in correlazione con intelligence e gli altri apparati dello Stato presenti”.  

Da quell’audizione sono trascorsi quattro mesi e mezzo. Zaki è ancora in carcere. E per Regeni non c’è giustizia all’ombra delle Piramidi.

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L’attrice (grande) e il ministro (piccolo, piccolo). Non è il titolo di un film, ma la triste realtà.

 

 

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