La Nato? "Non ce se fila de pezza". La verità di Draghi tradotta in romanesco

L'analisi del premier è stata netta: "La Nato sembra meno interessata all’Europa alle zone di interesse dell’Europa e ha spostato l’interesse verso altre parti del mondo, è diventato abbastanza evidente”

Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato
Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato
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6 Ottobre 2021 - 18.57


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Il presidente Draghi ci scuserà se per rendere ancora più incisivo il suo giudizio sulla Nato, lo traduciamo in romanesco, dialetto peraltro caro all’inquilino di Palazzo Chigi: la Nato? “Non ce se fila de pezza”. 

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L’Alleanza si sfarina

 La Nato “sembra meno interessata all’Europa alle zone di interesse dell’Europa e ha spostato l’interesse verso altre parti del mondo, è diventato abbastanza evidente”, quindi nell’Ue serve una riflessione. Così Draghi, in conferenza stampa a Brdo. in Slovenia, al termine del Vertice informale dei membri del Consiglio europeo e del Vertice Ue-Balcani occidentali.  “La cena di ieri – ha sottolineato – ha avuto per oggetto temi di carattere geopolitico. Quel che ho detto è che il ritiro dall’Afghanistan per il modo in cui è stato deciso, comunicato ed eseguito; il cambio di intenzioni che ha riguardato il contratto tra Australia e Francia su alcuni sottomarini e il modo in cui è stato comunicato il cambio di intenzioni dell’Australia, sono due messaggi molto forti che ci dicono che la Nato sembra meno interessata all’Europa e alle zone di interese dell’Europa e ha spostato l’interesse verso altre parti del mondo, è diventato abbastanza evidente. Molti Paesi sono membri della Nato e vogliono restare, ma si impone una riflessione su cosa può fare l’Ue per contribuire a guidare le scelte della Nato. Possono i paesi membri coordinarsi maggiormente nelle posizioni che prendono all’interno della Nato?”.

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“E’ venuto il momento di pensare seriamente” alle relazioni internazionali con Cina e Russia., rimarca il presidente del Consiglio. “E’ pensabile che i paesi membri dell’Ue possano coordinarsi per avere posizioni comuni e vincolanti? Si parla tanto di autonomia strategica nella difesa ma se non c’è politica estera comune è molto difficile pensare a una difesa comune. Questo arrivo a visioni condivise di politica estera e a una difesa comune ci si può arrivare all’interno dell’Ue. Se però non funziona ci si può arrivare nel modo tradizionale, con le alleanze tra vari paesi dell’Ue”.

“Il primo modo è di gran lunga preferibile perché manterremmo uno schema sovranazionale ma bisogna vedere cos’è che funziona perché è venuto il momento di pensarci seriamente”, ha concluso.

Difesa comune, una scommessa sul futuro

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L’Unione europea è pronta “a fare di più per promuovere e difendere i valori e gli interessi dei cittadini europei”. Per farlo, nei prossimi mesi i 27 saranno al lavoro per una nuova dichiarazione Ue-Nato, mentre gli ambasciatori e gli sherpa avvieranno già nelle prossime settimane i lavori di preparazione del vertice Ue sulla Difesa che si terrà a marzo sotto la presidenza francese.  Questo il messaggio che i capi di Stato e di governo dell’Unione lasciano trapelare dalla cena di lavoro al castello di Brdo, in Slovenia, a margine del vertice sui Balcani occidentali.  Rafforzare la difesa comune europea e l’autonomia strategica dell’Ue dunque, per affermare con più forza il ruolo dell’Unione europea sullo scacchiere internazionale. Uno scacchiere, che dopo la crisi in Afghanistan si mostra sempre più complesso e richiede maggiore autonomia europea in chiave di sicurezza. 

“L’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, presenterà una prima bozza dello Bussola strategica nel novembre 2021. Ci torneremo a dicembre. La sosteremmo a marzo in occasione del nostro Consiglio europeo ordinario sulla difesa. Nel frattempo, procederemo sui diversi binari esistenti nel campo della difesa e della sicurezza”.

Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nelle sue conclusioni al termine del dibattito al Consiglio informale dell’Ue, in corso in Slovenia, sul ruolo internazionale dell’Unione europea.

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 Il presidente del Consiglio europeo, ha poi aggiunto che la Commissione “lavorerà per una nuova dichiarazione politica con la Nato prima del vertice Nato del giugno 2022″.  

Stoltenberg non ci sta

Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha dichiarato che il sostegno a un’organizzazione parallela di difesa reciproca esclusivamente europea rischia di dividere e indebolire l’Alleanza atlantica. Lo riportano diversi siti informativi citando la Afp. A Washington per colloqui alla Casa Bianca e al Pentagono, Stoltenberg ha fatto riferimento al sostegno di Parigi a un raggruppamento di difesa europeo autonomo dalla Nato, in particolare sulla scia della creazione di Aukus, un raggruppamento Australia-Gran Bretagna-Usa focalizzato sulla sicurezza dell’Indo-Pacifico che ha lasciato fuori la Francia e la Nato come gruppo.

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“Capisco che la Francia sia delusa”, ha detto Stoltenberg in una conferenza alla Georgetown University. “Quello in cui non credo sono gli sforzi per cercare di fare qualcosa al di fuori del quadro della Nato, o competere con o duplicare la Nato, perché la Nato rimane la pietra angolare, il fondamento per la sicurezza europea e anche in realtà per la sicurezza nordamericana”.

Stoltenberg ha sostenuto che la difesa dell’Europa va oltre i suoi confini. “Si tratta di geografia. Turchia nel sud, Norvegia, Islanda nel nord e nell’ovest, Stati Uniti, Canada e Regno Unito – ha detto – Sono importanti per la protezione della difesa di tutta l’Europa”.

“Qualsiasi tentativo di indebolire il legame transatlantico creando strutture alternative, trasmettendo l’idea che possiamo farcela da soli, non solo indebolirà la Nato, ma dividerà l’Europa”, ha concluso Stoltenberg.

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Esercito europeo, modalità d’uso

A darne conto, in un documentato report per Strade.it, è Oliverr Dupuis.

Una solida base giuridica Sulla base degli articoli 42 § 6 e 46 § 1, 2 e 3 del Trattato sull’Unione europea (TUE), gli Stati disponibili deciderebbero di varare una Cooperazione Strutturata Permanente (CSP) avente come oggetto la creazione di un esercito europeo comune. Nell’ipotesi – peraltro politicamente carica di pesanti conseguenze – in cui, come il Trattato consente, un Paese membro dell’Unione opponesse un veto a questa iniziativa, gli stati volontari potrebbero decidere di organizzarsi in un primo tempo al di fuori del Trattato, sul modello degli stati che organizzarono, nel quadro del Trattato di Schengen, la libera circolazione delle persone fra i Paesi partecipanti”.

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Quali finalità? “Questo esercito comune avrebbe come prima finalità quella di contribuire alla preservazione della sicurezza e dell’integrità territoriale degli stati partecipanti. Sarebbe anche abilitato all’attuazione di missioni umanitarie, di mantenimento o di ristabilimento della pace, e di evacuazione di cittadini dell’Unione. Al fine di poter garantire un dispiegamento permanente, il primo nucleo dell’esercito comune sarebbe composto di tre gruppi aero-navali, che integrerebbero i due Mistral inizialmente destinati alla Russia, e tre divisioni di intervento rapido”.

Un’organizzazione politico-istituzionale rigorosamente “comunitaria” “Il Presidente della Commissione avrebbe la responsabilità politica dell’organizzazione e del funzionamento dell’esercito europeo. A questo fine, egli nominerebbe un Commissario. Gli orientamenti strategici sarebbero sottoposti alla doppia ratifica del Consiglio dei Ministri degli Esteri e del Parlamento europeo. Le misure proposte sarebbero ritenute adottate se ricevessero in seno al Consiglio dei Ministri il consenso di almeno il 55 % degli stati partecipanti alla Cooperazione Strutturata Permanente, rappresentanti il 65 % della popolazione degli stati, e se raccogliessero il consenso della maggioranza dei parlamentari europei degli stati partecipanti alla CSP.

Il Presidente della Commissione sottoporrebbe le decisioni di ingaggio dell’esercito europeo ad un Alto Consiglio di Sicurezza europeo (secondo la definizione di Pierre De Boissieu), composto dai Capi di stato e di governo dei Paesi partecipanti alla CSP. Quest’ultimo funzionerebbe a maggioranza qualificata.

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Soldati europei Il personale militare e civile dell’Esercito Europeo comune avrebbe lo statuto di agente comunitario. Lo stipendio del personale civile e militare equivarrebbe alla media, a competenze e responsabilità equivalenti, delle cinque scale salariali più alte fra i Paesi partecipanti alla Cooperazione Strutturata Permanente (CSP). Come per la Commissione europea, il personale dell’Esercito europeo comune sarebbe ripartito fra tutti gli stati partecipanti alla CSP proporzionalmente alle loro rispettive popolazioni.

L’Esercito europeo comune sarebbe dotato di un proprio Stato maggiore la cui sede sarebbe stabilita a Bruxelles. I membri dello Stato Maggiore sarebbero nominati dal Presidente della Commissione su proposta del Commissario responsabile della CSP. La lingua di lavoro e di comunicazione dell’Esercito europeo sarebbe l’inglese. Gli ufficiali, i sottufficiali, i soldati e il personale civile presterebbero giuramento di fronte al Presidente della Commissione e/o al Commissario responsabile della CSP.

L’Esercito europeo comune avrebbe una catena di comando indipendente. Organizzerebbe autonomamente le proprie scuole militari (navali, terrestri e aeree). Sarebbe dotato di un proprio servizio di intelligence (informazione e contro-spionaggio). Verrebbero stabiliti dei meccanismi di stretta collaborazione, in questo ambito, con gli analoghi servizi degli stati membri partecipanti alla CSP.

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Le basi navali, terrestri e aeree dell’Esercito europeo sarebbero distribuite sulla base di criteri strategici e tenendo conto degli squilibri tra i Paesi partecipanti in materia di industria degli armamenti. In quest’ottica, le prime basi navali potrebbero essere stabilite in Polonia, in Bulgaria e in Portogallo, le basi terrestri in Romania, in Spagna e nei Paesi baltici.

La quota-parte iniziale degli stati partecipanti alla CSP sarebbe fissata al 0,30 % del PIL, questa quota-parte potrebbe essere contabilizzata negli impegni di spesa di questi stati nei confronti della Nato”.

Politica e forza

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Di grande interesse è l’analisi di Jean-Pierre Darnis su Il Foglio: “Rileviamo un nodo fondamentale per l’azione militare dell’Unione europea: si è creato un consenso sulla condivisione di alcune capacità ritenute poco strategiche, e si sono poi fatti progressi importanti per finanziare la ricerca e lo sviluppo di materiale. Ma la stragrande maggioranza degli stati membri ritiene di dover decidere in modo sovrano riguardo all’impegno, o no, di forze militare in contesti bellicosi. Già la presidenza Trump aveva contribuito a rafforzare il progetto di un “autonomia strategica europea”. Ma il concetto vedeva coabitare sia una visione di ispirazione francese di esercito europeo combattente che le velleità tedesche di accrescere la sovranità tecnologica e industriale. La tematica, molto suggestiva, è stata recentemente rilanciata alla luce del disastro afghano. Però diventa poi difficile mettere tutti d’accordo su strategia e obiettivi, come costatato dai francesi quando nel 2020 hanno provato ad aprire il dibattito della condivisione della dissuasione nucleare con partner europei rimasti silenti.

Bisogna ricordare che l’uso della forza è nel cuore della sovranità democratica: nell’Unione però abbiamo paesi interventisti (la Francia) e altri non (Germania, Italia) ed è molto difficile rinunciare alla propria sovranità sull’uso della forza. Inoltre, le organizzazioni militari appaiono come i guardiani della sicurezza nazionale, il che rende difficile l’ibridazione con altre sovranità. Il cammino della politica di difesa europea proseguirà ma sconterà sempre queste difficoltà intrinseche. Potrebbe essere quindi sensato pensare in grande, a un salto federalista che aggiri il problema della cooperazione per ambire a un vero e proprio esercito europeo. Il modello delle agenzie dell’Unione, del tipo Frontex, crea embrioni di forze di sicurezza europee. Si può quindi partire da lì per costituire un esercito europeo alle dipendenze del consiglio dell’Unione europea che possa avere un proprio budget, preso dal bilancio comune, e si possa dotare di uomini e mezzi propri. Certo una tale operazione creerebbe poi una serie di problemi ulteriori, per esempio per quanto riguarda lo statuto giuridico dei soldati, delle basi ma anche le missioni all’estero. Ma niente che sia impossibile da risolvere per un’Unione europea che dispone già di una rete diplomatica fuori dai suoi confini. La costituzione di un esercito federale europeo provocherebbe le resistenze di alcuni stati membri, gelosi delle proprie prerogative. Ma potrebbe essere non peggiore della politica europea di difesa  Pesc/Pesd che si è rivelata dall’inizio molto farraginosa e non in grado di portare l’Unione europea a una svolta nelle capacità militari. Dopo il ritiro dall’Afghanistan lo scenario africano è molto preoccupante per l’Europa ed è urgente per l’Unione  essere in grado di proiettare sicurezza, anche realizzando quello che fino a ieri sembrava un’utopia”.

 

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