Putin: lo Zar Vladimir e un nuovo Congresso di Vienna. L'Ucraina è solo una tappa

Lui si sente uno zar. E il suo modello è lo zar Alessandro, quello che costrinse le potenze europee al Congresso di Vienna. L’errore più grande è stato non averlo preso sul serio.

Putin: lo Zar Vladimir e un nuovo Congresso di Vienna. L'Ucraina è solo una tappa
Attacco russo all'Ucraina
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Febbraio 2022 - 12.14


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La sua idea di futuro? Un ritorno al Congresso di Vienna. Lasciate perdere Lenin, Stalin o qualsivoglia riferimento a trascorsi comunisti. Lui si sente uno zar. E il suo modello è lo zar Alessandro, quello che costrinse le potenze europee al Congresso di Vienna. L’errore più grande è stato non averlo preso sul serio. O almeno non fino in fondo. Aver creduto che la sua fosse una spacconata muscolare, che al massimo si sarebbe limitata a riportare nel grembo della Grande Madre Russia le autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lukansk.

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Ma per Vladimir Vladimirovič Putin quello era solo un assaggio, l’antipasto territoriale di una pietanza molto più appetitosa: la cancellazione dell’Ucraina come Stato indipendente. O quanto meno come uno Stato che osasse porsi come un modello alternativo al regime russo, addirittura spingendosi fino al punto di chiedere di entrare nella Nato e nell’Unione Europea. L’occidentalizzazione dell’Ucraina rappresentava una minaccia mortale per zar Vladimir. E come tale doveva essere trattata. E schiacciata. Per noi occidentali, immersi in un eterno presente senza più memoria storica e radici identitarie, sentir parlare di Madre Russia, di panrussismo, è qualcosa di incomprensibile.

Ma questo sta accadendo ad Est. Altro che mondo globalizzato. Quello che si sta materializzando, sul campo, è un modo di muri, cortine di ferro, confini spinati. Un mondo dove prosperano e danno le carte autocrati come Erdogan, al Sisi. E Putin. Il nazionalismo come ideologia. Il comunitarismo, in questo caso russofono, come collante identitario che ridisegna gli stessi confini nazionali e ridefinisce entità statuali. Il Congresso di Vienna 2.0.

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Certo, quello messo in atto da Putin è un azzardo. Ma è un azzardo calcolato. Che fa conto su un’America divisa, nella quale già si è alzata la voce dell’amico Donald (Trump) che ha subito messo in chiaro che non esiste combattere una nuova guerra in Europa. Putin lo sa bene. Per questo il suo è un azzardo calcolato. A creargli problemi può essere solo…lui stesso.

La sua famelicità territoriale. Il voler riscattare la sconfitta della Guerra Fredda. L’Ucraina non è un Paese Nato. Lo avrebbe voluto diventare, ma non lo è. E quindi non scatta per Kiev l’articolo V del Trattato costitutivo dell’Alleanza Atlantica, sulla base del quale, l’aggressione ad un Paese membro comporta l’intervento degli alleati. Questo potrebbe accadere se Putin volesse riconquistare i Paesi baltici, la Lituania, l’Estonia, la Lettonia. Allora sì che lo scontro diverrebbe inevitabile. Uno scontro nucleare. Di certo, il dominus della situazione è a Mosca e non a Washington. Tanto meno a Bruxelles, sponda Nato e Ue. Le sanzioni, per come sono state calibrate, rappresentano un buffetto a Putin ai suoi amici oligarchi. Così come un tardivo invio di aiuti militari agli ucraini. Stendiamo poi un velo pietoso sugli 800 bersaglieri che l’Italia ha messo a disposizione. Ora ne sentiremo di tutti i colori di “sparate” degli strateghi da salotto mediatico, di chi la guerra non sa cosa significhi, di chi fino a poco tempo fa pensava che Donetsk, Donbass e Lukansk fossero territori di una nuova edizione di Risiko.

Putin non è l’Hitler del XX° secolo. Ma non per questo può essere considerato un interlocutore affidabile. Non si negozia con una pisola puntata alla tempia. Questa non è diplomazia delle armi, è terrorismo di Stato. Nessuno è disposto a morire per Kiev. Come un tempo, per Danzica. Ma se la storia è davvero maestra di vita, allora dalla storia dobbiamo imparare lezioni che ci indirizzino in un futuro che si fa presente. Una rivolta interna alla Russia contro l’avventurismo militare del regime pare francamente improbabile. Chi ha provato ad opporsi allo Zar è finito in carcere, vedi Navalny, o è stato fatto fuori. E poi c’è la carta nazionalista, il panrussismo, che fa presa all’interno. E’ già avvenuto con l’Ossezia e l’Abkhazia, e in tempi più recenti con la Crimea. Quello che può forse funzionare è costruire un cordone “sanitario” attorno alla Federazione Russa. Economico, commerciale, militare.

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Sì, anche militare. Il che significa rafforzare la presenza di forze Nato nei Paesi baltici dell’Alleanza, ad esempio. Il che porta anche a un discorso che riguarda noi, Noi sinistra. E il nostro rapporto con lo strumento militare. Che tale deve essere, strumento, e non fine. Perché quando in questo si è trasformato, sul campo ha lasciato solo macerie, Stati falliti, destabilizzazione. Senza una visione politica strategica non c’è forza armata che tenga. Lo abbiamo visto in Iraq, in Afghanistan, in Libia. E ora potrebbe accadere anche ad Est. Ma come strumento del fare diplomazia, quello militare non può essere escluso, bandito, demonizzato. Perché così si finisce per fare il gioco di Putin e degli autocrati che nel mondo hanno preso lui come modello. Per questo dobbiamo evitare di prestare ascolto ai filosi che indossano l’elmetto, quelli dell’armiamoci e partite. I empi sono troppo seri, e drammatici, per affidarci a costoro. E guai a credere a quelli che affermano di avere la ricetta vincente. Non ce ne è una, al momento. Gli appelli al cessate il fuoco si moltiplicano. Come le richieste del ritiro immediato delle forze russe dall’Ucraina.

Resteranno parole al vento o carta straccia. L’obiettivo realistico per l’Europa, per l’Occidente, non è quello di vincere ma di contenere una sconfitta. Di limitare Putin. Di lavorarlo ai fianchi. Sapendo che l’economia russa non è florida, tutt’altro, e che se l’Urss crollò a suo tempo è anche perché la corsa agli armamenti imposta da Reagan aveva portato alla rovina e al disfacimento l’impero sovietico. In questo c’è l’azzardo di Putin. Nel pensarsi invincibile. E nel sottovalutare i suoi avversari, ridotti a una masnada di smidollati, paurosi e vigliacchi. Occorre contenerlo, dunque. E già questo sarebbe un risultato. Quanto poi al destino dell’Ucraina, è segnato. L’ordine internazionale è stato violato, si ripete in continuazione in queste ore drammatiche. Ma questo ordine è da tempo che ha subito violenza, solo che per pavidità, abbiamo fatto finta di non vederlo, girando lo sguarda da un’altra parte. O illudendosi che l’umanità si fosse per incanto riscoperta unita nell’affrontare la “guerra” al virus pandemico. Non è così.

I nazionalismi hanno imperato anche ai tempi del Covid. Il mondo si è scoperto ancor più disuguale di prima. Vladimir Putin è parte di questo mondo. Parte dominante. Non è Hitler, certo. Ma neanche un Saddam, un Gheddafi, un al-Sisi, un autocrate come tanti altri, anche se militarmente molto ma molto più potente e minaccioso. Lo Zar del Cremlino ha mire più ambiziose; riscrivere la Storia. Con la forza delle armate e con un disegno imperiale che riporta indietro le lancette del tempo. Il futuro, nel passato. Nazionalismo e atomiche. Un mix devastante. Per il mondo intero. 

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