Anche gli ucraini russofoni non distinguono più tra il regime di Vladimir Putin e il popolo russo, per loro sono ormai tutti ‘rashists’, termine dispregiativo con cui identificano i “russi fascisti e nazisti” e con cui si preparano “alle battaglie in campo aperto” nel Donbass.
A Kiev sono cambiati gli umori negli ultimi giorni, dopo gli “eccidi” a Bucha e l’attacco missilistico a Kramatorsk, mentre gli ucraini si aspettano un’accelerazione sul fronte militare se è vero che Putin vuole incassare qualcosa prima della parata del 9 maggio.
Certo il presidente russo “non può aver scatenato tutto questo putiferio solo per prendersi Kherson”, la prima delle città ucraine conquistata dalla forze di Mosca il mese scorso. La Russia punta ancora a prendere la striscia di terra che collega il Donbass alla Crimea, tutto il Donbass e poi, nel caso, Odessa e Kharkiv. Obiettivi tutt’altro che scontati, mentre sono “più verosimili Mariupol, che ancora resiste, e il Donbass”, dove non ci sono grandi città, nelle quali la difesa è più facile, e dove dunque “le battaglie si giocheranno in campo aperto. Con le condizioni meteo, finito l’inverno, che potrebbero favorire i russi.
Ma se Mosca accelera, a Kiev la determinazione a fermare i russi si fa “più feroce” e “il nuovo capitolo” che si è aperto nella guerra con le atrocità scoperte nei giorni scorsi si riflette in campo linguistico, con i russi ormai indicati solo con il termine dispregiativo di “rashists”. Ma anche nei negoziati, che in questa fase appaiono più difficili, come ammesso dal ministro degli Esteri Dmytro Kuleba.
“Gli ucraini in effetti in questa fase stanno tornando meno disponibili rispetto a prima sulle concessioni territoriali. Come fanno a giustificarle mentre mandano a morire migliaia di uomini per difendere il Donbass?”, osservano le fonti.