Armi "offensive" all'Ucraina, gli smemorati della "red line"

Nel suo ultimo video-discorso - ripreso dai media internazionali -, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è tornato ancora una volta a chiedere più armi per Kiev e più sanzioni contro Mosca

Armi "offensive" all'Ucraina, gli smemorati della "red line"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Aprile 2022 - 18.33


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Fino a qualche settimana fa, gli analisti militari più accreditati, non certo i filosofi in mimetica televisiva, concordavano su due punti sostanziali. Primo: senza un sostegno in armamenti l’Ucraina non avrebbe alcuna possibilità di frenare l’invasione russa. Secondo: fornire agli ucraini armi “offensive” equivale, di fatto, ad una dichiarazione di guerra da parte dell’Occidente – inteso come Usa, Nato, Europa – alla Russia.

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Zelensky chiede…

Nel suo ultimo video-discorso – ripreso dai media internazionali -, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è tornato ancora una volta a chiedere più armi per Kiev e più sanzioni contro Mosca. “Se qualcuno dice: ‘un anno o anni’, io rispondo: ‘puoi rendere la guerra molto più breve’. Più e prima avremo tutte le armi che abbiamo richiesto, più forte sarà la nostra posizione e prima arriverà la pace – afferma Zelensky -. Quanto più e quanto prima avremo il sostegno finanziario che abbiamo richiesto, tanto prima ci sarà la pace. Prima il mondo democratico riconoscerà che l’embargo petrolifero contro la Russia e il blocco completo del suo settore bancario sono passi necessari verso la pace, prima la guerra finirà. L’obiettivo principale è accelerare il ritorno alla pace”. 

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Biden risponde ok

Gli Stati Uniti hanno deciso di fornire all’Ucraina una serie di apparecchiature di sicurezza militare, inclusi più di 1.000 Stinger e più di 5.000 sistemi Javelin, come si legge in una nota pubblicata online sul sito del Dipartimento della Difesa Usa. “L’assistenza alla sicurezza degli Stati Uniti all’Ucraina comprende: più di 1.400 sistemi antiaerei Stinger; più di 5.000 sistemi anticarro Javelin; più di 7.000 altri sistemi anticarro; centinaia di droni esplosivi Switchblade; più di 7.000 armi leggere e munizioni, più di 50 milioni di proiettili; 45.000 set di giubbotti antiproiettile ed elmetti, sistemi missilistici a guida laser, sistemi aerei senza pilota Puma, quattro radar di sorveglianza di veicoli aerei senza pilota e anti-artiglieria, sistemi di comunicazione sicuri; servizi di imaging satellitare commerciale; dispositivi di protezione per la neutralizzazione di oggetti esplosivi; forniture mediche, compresi i kit di pronto soccorso”. In totale, dall’inizio dell’invasione russa su vasta scala, gli Stati Uniti hanno impegnato oltre 1,7 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza e 2,4 miliardi di dollari. Martedì l’amministrazione Biden aveva approvato uno stanziamento di altri cento milioni di dollari di armamenti, per un totale di circa 1,7 miliardi di dollari dall’inizio dell’invasione.

Sul concetto di “offensive”

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Di grande interesse è l’analisi per Linkiesta.it di Michelangelo Freyrie. “Molto è già stato scritto sulle armi necessarie all’Ucraina per resistere all’avanzata russa, arenatasi rapidamente nei primi giorni di guerra. Nella prima fase del conflitto ci si è concentrati soprattutto sulla fornitura di quei sistemi utili per armare una resistenza armata e organizzare una difesa flessibile, incardinata su imboscate, raid e ritirate in combattimento. In queste ore è ricominciata con vigore la discussione sull’opportunità di armare l’esercito ucraino con armi offensive, una definizione fuorviante che scambia la modalità d’impiego di un’arma e le capacità operativa a cui essa dà accesso.

Due esempi semplici aiutano a inquadrare la questione. I mezzi corazzati (carri armati, semoventi d’artiglieria e blindati da trasporto per la fanteria) sono spesso associati a grandi battaglie corazzate o assalti combined arms come quelli che settant’anni fa hanno insanguinato questa regione. I mezzi corazzati sono però unità che operano in simbiosi con la fanteria e che ricoprono un ruolo anche in un sistema difensivo, soprattutto su un fronte così esteso e poco fortificato come quello ucraino. Respingere il nemico non si riduce a difendere una posizione, ma anche essere in grado di contestare le sue conquiste recenti e impedire che abbia un momento di pausa per preparare nuove offensive.

Le perdite ucraine sono attualmente più incerte rispetto a quelle russe, soprattutto perché gli osservatori esterni sono riluttanti a rivelare informazioni sensibili riguardo ai difensori. Secondo Stijn Mitze di Oryx, tuttavia, l’Ucraina ha perso circa un centinaio di carri armati e una sessantina di mezzi di fanteria, che se non rimpiazzati precluderanno controffensive locali, oltre che a sfruttare eventuali punti deboli nelle linee russe e tenere alta la pressione in regioni come Kherson.

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Il secondo esempio riguarda i droni suicidi Switchblades: sono stati finora stati presentati come sistema difensivo e assimilabile ai missili anticarro trasportabili in spalla, sulla falsariga del Javelin. Trattandosi però di un drone suicida, lo Switchblade può essere pilotato agilmente contro obiettivi fino a quaranta chilometri di distanza: permette di colpire i rifornimenti di forze russe impegnate in operazioni offensive, ma anche di azzoppare il sistema logistico del nemico in preparazione di un attacco.

A questi si aggiungono poi sistemi che andrebbero a sopperire le debolezze specifiche dell’esercito ucraino in qualsiasi contesto operativo. Kiev ha un corpo d’artiglieria insufficiente per fornire supporto immediato al fronte e, soprattutto, ingaggiare in duelli a distanza la propria controparte russa, che gioca un ruolo chiave nella dottrina offensiva dell’invasore.

In più l’Ucraina sconta un basso numero di sistemi antiaerei in grado di contrastare i bombardieri tattici russi. Anche se assente nelle prime fasi della guerra, l’aviazione russa (RuAF) potrebbero tornare a essere determinante nel caso gli attaccanti continuassero a concentrare le proprie offensive e permettere quindi alla RuAF di imporre una superiorità aerea locale nelle zone di operazione.

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Piuttosto che distinguere fra armi offensive e difensive, ha senso parlare di armi facilmente utilizzabili, sistemi complessi come aerei e carri armati già noti alle forze armate ucraine e nuovi sistemi complessi corrispondenti agli standard Nato.

Questi ultimi sono anche quelli che hanno suscitato le maggiori tensioni politiche, soprattutto in Paesi come la Germania: richiederebbero un impegno a medio termine da parte alleata per addestrare gli operatori ucraini, oltre che una garanzia rispetto alla fornitura di pezzi di ricambio. Ciò equivarrebbe anche all’ammissione che la guerra durerà indefinitamente – come ha ipotizzato il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg – e che saranno necessarie disposizioni per sostenere lo sforzo bellico ucraino. Va ricordato che la competenza operativa finora dimostrata con i sistemi occidentali è anche dovuta alle lunghe missioni di addestramento e supporto degli Stati Uniti e dei loro alleati”.

Fin qui Freyrie

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Atene si smarca

La Grecia ha deciso di non inviare più attrezzature militari in Ucraina. La decisione è stata comunicata dal ministro della Difesa ellenico Nikos Panagiotopoulos, che ha spiegato che la difesa della Grecia non dovrebbe essere indebolita, in particolare sulle isole, inviando più armi all’estero. “L’equipaggiamento di difesa che abbiamo inviato in Ucraina proviene dai nostri stock. Non possiamo inviarne di più”, ha dichiarato al parlamento.

Come riporta Euractiv   il governo greco ha già inviato a Kiev due aerei da trasporto C-130 carichi di aiuti militari, come fucili Kalashnikov e lanciarazzi portatili. Ma secondo un sondaggio condotto da Mega tv, il 66% degli abitanti del Paese non è d’accordo con l’invio di attrezzature militari in Ucraina e il 29% è d’accordo con lo stop deciso dal governo. Panagiotopoulos ha anche fatto riferimento alla Turchia, che Atene vorrebbe fuori dall’Alleanza nordatlantica, ma, ha detto, “questo non è il momento migliore per parlare contro la Turchia nella Nato, perché gli alleati vogliono garantire che Ankara rimanga legata all’Alleanza atlantica”. Ieri il governo ellenico ha riferito che dei caccia turchi hanno violato lo spazio aereo di Atene undici volte, sorvolando a quote molto basse sopra le isole greche, anche a quelle abitate.

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I mal di pancia teutonici

Scrive da Berlino l’Ansa: “Il problema sta al cancellierato”.

Non usa mezzi termini il verde Anton Hofreiter, presidente della commissione Bundestag agli Affari UE.

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Verdi e Fdp pretendono con sempre maggiore insistenza una posizione chiara del cancelliere Scholz sull’export di armi pesanti in Ucraina, a partire dai carri armati.

Già lunedì scorso la ministra degli Esteri Annalena Baerbock aveva fatto un’evidente fuga in avanti, annunciando la necessità di mandare nuovi armamenti in Ucraina. La sera stessa, però, Scholz l’aveva frenata, dicendo di non volere in questo senso “iniziative individuali” da parte di nessun paese, quindi tanto meno dalla Germania. Ora Hofreiter chiede a Scholz di togliere proprio il “freno” all’export di armi pesanti per non “danneggiare oltre la reputazione” tedesca. La voce del politico verde è al momento molto significativa, visto che è appena rientrato da una visita di solidarietà in Ucraina, la prima che sia stata compiuta da una delegazione tedesca di alto livello. Ucraina in cui il presidente tedesco Steinmeier non sembra invece essere gradito e in cui Scholz non ha ancora deciso se e quando andare.

In viaggio con Hofreieter c’era anche la presidente della commissione Difesa del Bundestag, la liberale Marie-Agnes Strack-Zimmermann, e il presidente della Commissione Esteri, il socialdemocratico Michael Roth. Anche Roth, membro della Spd di Scholz, ha dichiarato che la Russia sta per lanciare una vasta offensiva a Est e che gli ucraini hanno bisogno al più presto di armi pesanti. Strack-Zimmermann aggiunge invece di non capire perché Scholz non prenda una posizione di chiara leadership: “Potrebbe dire cosa vuole spedire, cosa non vuole, spiegarlo.” Pare che Verdi, Fdp e altri abbiano prima tentato di convincere internamente il cancelliere sul dossier armi, ma che ora sia arrivato il momento dell’offensiva mediatica. In quanto a Scholz, il cancelliere sembra almeno parzialmente convinto che la spedizione di armi pesanti rischi di essere una forma di escalation con la Russia. Del resto, è così che pensa una parte della Spd, che infatti in queste ore difende Scholz. Kiev, intanto, continua a chiedere aiuto.”

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I pacifisti dicono “no”

Dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia i pacifisti   sono scesi per le strade di tutta Italia per far sentire la loro voce contro la guerra ma, appunto, anche contro l’invio d armi in Ucraina. A dire un secco no alle scelte dell’Ue è la ‘Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd) : “Penso che questo sarebbe il momento di buttare acqua sul fuoco e non benzina. Quindi infilarsi in una militarizzazione, anche da parte dell’Europa nel conflitto, riduce le possibilità della ricerca di una soluzione politica. Inviare armi è un atto di guerra”, ha detto all‘Ansa Fabio Alberti dell’esecutivo di Ripd. “ Mandare le armi in Ucraina “è un atto di partecipazione alla guerra”, ha sottolineato ricordando che il movimento pacifista vuole altro: “Mentre noi invece diciamo che bisogna premere per il negoziato. Alimentare lo scontro armato creerà un aumento dei costi umani di questo conflitto e non avvicina la possibilità di una soluzione politica”. A ribadire la medesima posizione è Francesco Vignarca, altro esponente dell’organizzazione: “L’invio di armi non serve alla pace.

Questa non è una posizione di etica morale dei pacifisti. E’ una cosa concreta: inviare le armi, in Libia, in Afghanistan, in Iraq, non è mai servito a migliorare niente. In quel caso addirittura non si trattava nemmeno di eserciti così strutturati. In tutto ciò ci sono problemi logistici: non si sa a chi possono finire in mano. Possono diventare non lo strumento che ferma il conflitto ma che lo alimenta”. E anche per Vignarca inviare armamenti “è un modo indiretto che l’Europa sta avendo per entrare in un conflitto. Per alcuni forse è anche un modo per lavarsi la coscienza”.

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Scrive Alessandro Marescotti su Peacelink.it: “Siamo entrati in una fase nuova in cui, per noi pacifisti è del tutto chiaro che essere “contro la guerra in Ucraina” non significa solo essere contro l’invasione dell’Ucraina compiuta da Putin (su cui non c’è alcuna ambiguità) ma significa anche essere contro l’escalation militare e il coinvolgimento dell’Europa attraverso l’invio di armi. Un invio che avverrebbe tramite la Polonia (che è stata scelta come “hub” dei rifornimenti militari all’Ucraina). Questo è un fatto di straordinaria pericolosità. Infatti la Russia potrebbe colpire le forniture di armi al confine fra Polonia e Ucraina. Gli effetti sarebbero prevedibilmente devastanti per i delicati e fragili equilibri internazionali che ancora sono in piedi. Tutto questo è follia, dall’una e dall’altra parte. E noi siamo contro la follia. Siamo il movimento per la pace”. 

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