Guerra in Ucraina, compromesso non è più parola impronunciabile. Ma Putin...

Zelensky si dice disposto a cedere la Crimea e parti del Donbass ma Putin vuole la vittoria altrimenti il suo potere

Guerra in Ucraina, compromesso non è più parola impronunciabile. Ma Putin...
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Maggio 2022 - 18.11


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Si combatte. Sul campo e sul versante mediatico. Ognuno dei belligeranti alza i toni, come le cannonate, ma dietro esternazioni trionfalistiche, ad uso interno, dopo 73 giorni di combattimenti alcune granitiche certezze iniziali si stato incrinando. A cominciare dalle convinzioni che aveva coltivato lo Zar del Cremlino. Il blitzkrieg sperato, tre giorni di combattimenti e poi la bandiera russa issata a Kiev, è fallito. Globalist ne ha spiegato le ragioni con analisi, interviste, preziosi contributi esterni. Ma qualche certezza, o per meglio dire, rigidità si sta incrinando anche in campo ucraino. 

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Prove di compromesso

Sembrerebbe aprirsi uno spiraglio sulle difficili trattative per la pace. L’Ucraina sarebbe disposta ad accettare un accordo di compromesso con la Russia se le forze militari di Mosca si ritirassero “sulle posizioni del 23 febbraio”.  Ad affermarlo è stato il presidente ucraino Volodomyr Zelensky, intervenuto in video conferenza alla Chatham House di Londra, lasciando intendere che Kiev rinuncerebbe alla restituzione della Crimea, annessa nel 2014. Un’affermazione che, in realtà, non troverebbe riscontro in quanto dichiarato da un esponente del Parlamento di Mosca, durante una visita a Kherson: “Putin vuole ancora la guerra. La Russia resterà ‘per sempre’ nel sud dell’Ucraina”.

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Il ritiro completo dell’Armata russa dalle posizioni conquistate dopo il 24 febbraio, infatti, somiglierebbe troppo a una sconfitta. Neutralità dell’Ucraina, status non nucleare. Compromesso sul Donbass ma no alla smilitarizzazione del paese. 

Riflette in proposito Lucio Caracciolo, direttore di Limes:  “Zelenski parla di vittoria e adesso sta cominciando a definirla, parrebbe. Quando dice che al Crimea è russa, non è una cosa proprio da nulla. Quando dice che l’Ucraina accetta una forma di neutralità garantita, nemmeno quello è proprio zero. Forse sta cominciando ad abituare il suo popolo che la vittoria ovviamente non può essere totale e che ci deve essere qualche concessione, qualche compromesso con i russi”.

“La controfaccia di questa dichiarazione – rimarca ancora Caracciolo –  è che il Donbass non lo vogliono cedere. E quindi, teoricamente, almeno dovranno combattere per riprenderselo. E’ interessante anche la risposta russa. In buona sostanza, non se ne parla proprio di fermarci in Crimea, vogliamo tutto il sud. Che vuol dire poi sostanzialmente ridurre l’Ucraina in uno Stato senza sbocco al mare, e cioè senza possibilità di vita. Questa – conclude il direttore di Limes – è una fase in cui si fanno dei discorsi soprattutto per le proprie opinioni pubbliche. Quello che mi sembra difficile, dal punto di vista di Zelensky, è convincere, dopo avere detto il contrario, che la Crimea è Russia. Questo mi pare comunque, dal punto di vista retorico, pubblico si potrebbe azzardare che forse gli è scappato”.

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Un’analisi pessimista è quella di Tatjana Stanovaja, direttrice del centro di studi politici “R.Politik”, che in una intervista, del 31 marzo,  all’inviata di Repubblica a Mosca, Rosalba Castelletti afferma, tra l’altro: “Mosca non siglerà nessuna pace finché l’Ucraina non acconsentirà a tutte le richieste. E la bozza proposta di Kiev ne accoglie solo circa la metà. Non può essere la base per un compromesso. Quel che è certo è che la Russia non riesce più ad avanzare militarmente. Quindi ha bisogno di tempo per raggrupparsi e concentrarsi sul Donbass. Ma dubito che si limiterà all’Est Ucraina”. Per poi aggiungere: “Putin perderà il sostegno sociale se perderà la guerra, non se continuerà a combattere. Oggi, dopo le prime indiscrezioni sui negoziati, i social network sono stati inondati di post che paragonavano l’eventuale sigla della proposta ucraina agli Accordi di Khasavjurt firmati dopo la prima guerra cecena. Furono un fallimento, una vergogna, una delle più grandi umiliazioni dell’era Eltsin. Putin ha creato delle aspettative descrivendo l’operazione come una ‘lotta al nazismo’. Non può permettersi un ‘Khasavjurt 2’. Per la parte più radicale e patriottica della società, gli attivisti a favore della cosiddetta ‘Novorossija‘, sarebbe un tradimento”.

I precedenti

Ventisette marzo.  Zelensky, in un’intervista ai media della Russia indica i punti su cui potrebbe essere raggiunto un accordo con Mosca per porre fine alla guerra. Nell’intervista, Zelensky accusa anche Vladimir Putin di prolungare la guerra, ritardando i negoziati di pace. Il video della lunga intervista, un’ora e mezza, è stato pubblicato dal portale indipendente Meduza, dopo che l’autorità russa per i media Roskomnadzor aveva vietato alle testate dei giornalisti che avevano partecipato – tra i quali Kommersant e Novaya Gazeta – di pubblicare l’intervista. “Vogliamo ridurre il più possibile il numero delle vittime, la durata della guerra, vogliamo che le truppe si ritirino nelle posizioni precedenti all’attacco”, dice Zelensky offrendo allo stesso tempo “un compromesso sulla difficile questione del Donbass”. “Non ci siederemo per niente al tavolo se tutto quello di cui vogliono parlare è demilitarizzazione o denazificazione, per sono cose incomprensibili”, chiarisce, sottolineando comunque di non essere “contrario” ai colloqui con i russi “concesso che ci siano risultati”.

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“Capisco che è impossibile obbligare la Russia a liberare totalmente i territori ucraini perché porterebbe la terza mondiale, lo comprendo perfettamente – afferma – ma dico che questo è un compromesso: tornino dove tutto è iniziato e cerchiamo di risolvere la difficile questione del Donbass”. Zelensky, in quell’intervista, si diceva pronto ad un nuovo scambio di prigionieri dopo quello del 24 marzo: “Si stanno preparando le liste, abbiamo i dati di tutti i militari catturati”. Disponibilità ad accordi per il riconoscimento della lingua russa in Ucraina: “Sono sicuro che i tema della lingua sarà al centro dell’agenda” dei negoziati”.

Quei 15 punti…

Esiste una bozza per regolare gli accordi di pace tra Russia e Ucraina. Un documento composto da 15 punti. A raccontarlo ,il 16 marzo, è il Financial Times, rivelando l’esistenza di una bozza di accordo, sulla quale i negoziatori russi e ucraini stanno discutendo. Il piano include il cessate il fuoco e il ritiro delle truppe russe se l’Ucraina dichiara la neutralità e accetta limiti alle forze armate. Tra le condizioni anche la rinuncia da parte dell’Ucraina alla Nato e la promessa di non ospitare basi militari straniere o armi in cambio di protezione da alleati quali Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia. Le garanzie occidentali per la sicurezza ucraina potrebbero rivelarsi un “grande ostacolo ad ogni accordo, così come i territori” conquistati dalla Russia nel 2014, metteva in evidenza il Financial Times.

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Modelli cercasi

Di grande interesse in proposito, è un report per Askanews di Corrado Accaputo.

“Il Cremlino vuole “raggiungere la pace il più rapidamente possibile”, ha insistito, precisando poi che si sta trattando su un’Ucraina “neutrale”, sul modello di Austria e Svezia. “Questa è un’opzione di cui si sta davvero discutendo ora e che può essere considerata una specie compromesso”, ha poi rincarato il portavoce della presidenza russa, Dmitry Peskov. 

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Una versione che però non combacia con quella di Kiev. L’Ucraina boccia l’idea di un modello austriaco o svedese di neutralità per il Paese. La presidenza ucraina ha rifiutato questa ipotesi, hanno fatto sapere le autorità locali. “Siamo in guerra, l’unico modello possibile è ucraino”, ha spiegato il consigliere della presidenza, Mykhailo Podolyak. 

La neutralità austriaca: perché  nacque “la seconda Svizzera” 

Alla fine della Seconda guerra mondiale, con la sconfitta di Germania e Austria, Vienna aveva davanti a sé cinque strade possibili: diventare una democrazia popolare dominata dall’Unione sovietica; entrare nella Nato; sottoporsi a una divisione tra Ovest ed Est; accettare un’occupazione permanente; dichiarare una neutralità perpetua. A prevalere fu quest’ultima opzione, l’unica realisticamente praticabile. La dichiarazione della neutralità perpetua fu così sancita con la Costituzione del 1955 e trasformò l’Austria in una sorta di Stato cuscinetto tra l’Europa dell’Est e l’Occidente. La decisione fu accettata anche da Mosca, che di conseguenza ritirò le sue truppe e chiese in cambio concessioni economiche e garanzie da parte di Vienna. Una su tutte: la non adesione a un’alleanza militare. 

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Il modello Austria: possibile via di uscita dalla guerra 

A quasi 70 anni dalla dichiarazione di neutralità di Vienna, il modello Austria potrebbe rappresentare adesso una via di uscita per il presidente Volodymyr Zelensky e l’intera Ucraina dall’aggressione russa. Anche se con qualche distinguo rispetto a questo precedente storico. E le differenze consisterebbero tutte in una serie di condizioni poste da Mosca ed eventualmente accettate da Kiev: oltre alla rinuncia all’ingresso nella Nato, già messa in conto da Zelensky, almeno a giudicare da alcune delle sue più recenti dichiarazioni, anche la cessione del Donbass e della Crimea, e un eventuale rallentamento della corsa verso l’adesione all’Unione europea. Su questi ultimi due punti, però, le parti appaiono ancora troppo distanti per potere ipotizzare un accordo a breve. 

Il modello ucraino: l’unico possibile per Kiev…per ora 

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Non è un caso, che il consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Mykhailo Podolyak, si è affrettato a precisare che il “modello di neutralità svedese o austriaco” non può essere all’ordine del giorno. Su Telegram, Podolyak ha scritto che il punto attuale di partenza è che “l’Ucraina è adesso in uno stato di guerra diretta con la Russia”: “pertanto, il modello può essere solo ucraino e solo su garanzie di sicurezza verificate legalmente. E nessun altro modello o opzione” può essere preso in considerazione. Podolyak ha anche spiegato che questo modello ucraino prevede “garanzie di sicurezza assoluta” in cui “i firmatari delle garanzie non si facciano da parte in caso di attacco all’Ucraina, come oggi. Ma partecipano attivamente al conflitto a fianco dell’Ucraina e assicurano ufficialmente forniture immediate della quantità necessaria di armi”. 

Il compromesso? Applicazione estensiva del modello Austria 

Gli ucraini potrebbero così puntare a “un’applicazione estensiva” del “modello Austria”. Associazione alla Nato, senza diventarne membro; proseguimento del percorso verso l’Unione europea, con tempi e procedure che non prevedono forzature; rinuncia ad armamenti stranieri sul proprio territorio, che siano percepiti come una minaccia dalla Russia, ma possibilità di avere un proprio esercito e una propria flotta. Eventualità e scenari che però dovrebbero essere sottoposte ad alcune condizioni. La comunità internazionale dovrebbe infatti essere garante della piena sovranità dell’Ucraina. E vincoli e condizioni dovrebbero poi essere pienamente accettati da Mosca. Tra questi, il riconoscimento della sovranità dello Stato, con Kiev capitale, e lo sbocco sul mare. 

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Un’eventuale scelta della “via finlandese” come ipotesi di uscita dalla crisi non è invece ben vista dal leader del Cremlino. E non è difficile comprenderne le ragioni. La Finlandia, infatti, ha sì scelto la neutralità durante la Guerra Fredda, ma non ha mai deciso di metterla nero su bianco, emanando una legge apposita. Una decisione che lascia al Paese la libertà di aderire un giorno a qualsiasi alleanza, compresa la Nato. Una strada che, semmai dovesse realizzarsi, sarebbe totalmente inaccettabile per Mosca. Tanto più, che la Federazione russa già oggi non vede di buon occhio la partecipazione di Finlandia e Svezia ai vertici dell’Alleanza atlantica come Paesi osservatori. Tra l’altro, proprio nelle ultime settimane a Helsinki è in corso una profonda riflessione legata all’aggressività di Vladimir Putin. E il quadro storico mutato potrebbe condurre il governo finlandese ad abbandonare lo status di Paese neutrale e ad entrare nella Nato”, conclude Accaputo.

Modelli cercasi per un compromesso da inventare. Ma qualcosa si sta muovendo tra un bombardamento e l’altro. 

Un segnale sul fronte diplomatico intanto è arrivato dal Palazzo di Vetro a New York, dove il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una dichiarazione unanime di “fermo sostegno” al segretario generale Antonio Guterres per “una soluzione pacifica” del conflitto: la prima dimostrazione di unità dei 15 dall’inizio dell’invasione, soprattutto con il sì della Russia, oltre che della Cina. “Oggi per la prima volta il Consiglio di Sicurezza ha parlato con una sola voce per la pace in Ucraina. Come ho spesso detto il mondo deve unirsi per mettere a tacere le armi e sostenere i valori della Carta Onu”, ha detto il segretario generale Onu Antonio Guterres. Anche il Palazzo di Vetro batte un colpo. E’ una notizia. 

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