E’ meglio abbandonare qualsiasi illusione: una soluzione politica alla guerra in Ucraina non è alle porte. E non lo sarà ancora per molto tempo. A spiegarlo sono analisti che sanno bene di cosa parlano, e che non rientrano, per fortuna loro e nostra, nei profili predefiniti, caricaturali, che connotano il circo mediatico che da quattro mesi imperversa nei talk show televisivi e sulle pagine dei giornali, con sempre più rare eccezioni. A loro la parola
Sostiene Caracciolo
“E’ chiaro – afferma il direttore di Limes, la più autorevole rivista italiana di geopolitica – che siamo ancora lontani dalla fine della guerra, e ancora di più da una soluzione diplomatica. Questa guerra finisce sul terreno, non finisce attraverso qualche iniziativa diplomatica estemporanea. Finisce quando le forze si accorgono che non possono andare né troppo avanti né troppo indietro. Gli ucraini avrebbero bisogno di una vittoria militare un po’ significativa. E per questo io credo che noi dobbiamo continuare a dargli armi è forse anche qualcosa di più. Più soldi e forsanche anche di soldati. Perché di questo hanno anche bisogno gli ucraini”.
Quanto al rischio che questo comporti un coinvolgimento della Nato, Lucio Caracciolo, è netto: “Il rischio che venga coinvolta la Nato non sarà in Ucraina. E’ a Kaliningrad, che è una storia completamente diversa. Perché Kaliningrad è praticamente un confine tra Stati Uniti e Russia”.
Uno scenario “coreano”
La parola passa al generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica militare, consigliere scientifico dello Iai (Istituto affari internazionali).
“Il problema – dice – non è solo inviare armi di puntamento più sofisticate. Il problema non sta nel capire quale bottone schiacciare, ma apprendere come si possano usare dal punto di vista tattico. E questo richiede un po’ di tempo. L’utilizzazione tattica ottimale richiede un apprendimento anche sul campo. Io non sono tanto d’accordo con chi dice che ci sono due eserciti allo stremo. Non sono allo stremo ma sono ovviamente sotto pressione. Perché da un lato i rifornimenti russi stanno degradando di qualità. Sono stati tirati fuori dai magazzini i T-62, carri armati degli anni ’70, che non sono certamente l’ultimo strillo e altrettanto certamente non sono adeguati a una guerra moderna. Sono stati utilizzati da parte dei russi dei missili superficie-aria che nascono come missili da crociera armati di testate nucleari. E se li stanno usando in modo convenzionale vuol dire che sono un po’ a corto degli altri. C’è un problema di rifornimenti, da un lato. Dall’altro lato, quello ucraino, c’è un problema anche di dimensioni di materiale umano. Quando si leggono le cifre sulle perdite quotidiane di uomini ucraini, è chiaro che questo mette sotto stress le forze. Peraltro – aggiunge Camporini – sul terreno si vede che gli spostamenti sono micrometrici. Si guadagna un chilometro, si retrocede di due. Non c’è l’evidenza di una soluzione alle porte, dal punto di vista militare. E questo giustifica quello che dice la Nato, cioè che è possibile che la guerra si prolunghi. Secondo me non con l’intensità che ha adesso. Possiamo arrivare ad una situazione di quasi stallo che può avere una durata indefinita. E questo è prodromico alla ‘soluzione’ politica. Perché se si andrà verso quello che alcuni prevedono, una situazione di tipo “coreano”, quindi con una linea di contatto dove non si spara più, perché abbiam finito le munizioni o quasi, ma che non è pace. E questo presuppone una situazione altro che di Guerra fredda indefinita in Europa. Una situazione che impedirà per i prossimi anni, forse decenni, qualsiasi tipo di rapporto utile tra Occidente e Russia. Il che dal punto di vista strategico è un problema. Io ho un sogno – confessa l’ex Capo di Stato maggiore della Difesa – che è quello di vedere una Russia diversa da quella di oggi, con un altro tipo di governance. Integrata in una Unione europea con la complementarietà che contraddistingue le due economie: da un lato energia, dall’altro tecnologia. Ma questo resta un sogno”.
Putin: la sua strategia divisiva ha fallito.
A spiegarne le ragioni è II generale Mauro Del Vecchio. Il generale del Vecchio ha guidato la Brigata Bersaglieri Garibaldi in Bosnia, Macedonia e Kosovo tra il 1997 e il 1999, e poi la Scuola di Applicazione dell’Esercito. Da Generale di Corpo d’Armata ha comandato dal 2004 al 2007 il Corpo d’Armata di Reazione Rapida Italiano della Nato, e ha guidato le forze Nato in Afghanistan (Isaf) nel 2005-2006. Il 5 settembre 2007 è stato nominato al vertice del Comando Operativo di Vertice Interforze (Coi). L’anno successivo, lasciato il servizio attivo, viene eletto senatore nelle fila del Partito Democratico, incarico ricoperto presso la Commissione Difesa fino al marzo 2013.
“In Ucraina – spiega – si sta combattendo una guerra particolarmente difficile, perché chi si difende ha davanti a sé un apparato militare di gran lunga superiore. Detto questo, c’è subito da aggiungere che gli ucraini stanno sfruttando al meglio le capacità che l’ambiente dove si svolge questa guerra, consentiva loro. Non siamo in presenza di distese grandissime, ma siamo in una nazione densamente popolata, molto umanizzata, che costituisce di per se stessa una difficolta per qualsiasi operazione militare che, come parrebbe essere stata l’intenzione russa, si prefiggeva di raggiungere in tempi brevi gli obiettivi che si era prefissata. […]. All’esatto opposto di quelle che erano le sue intenzioni, con questo attacco ingiustificato, con l’invasione dell’Ucraina, Putin non ha fatto altro che rinsaldare quei legami che sono usciti rafforzati da quanto sta accadendo. L’’Unione Europea ha compreso l’importanza, politico ed economico, della sua costituzione e adesso sta anche valutando se non sia il caso di darsi una capacità militare consistente, proprio in relazione a quanto sta accadendo. Ma non solo questo. Anche la Nato ha rinsaldato i vincoli che erano alla base del trattato fondativo dell’Alleanza Atlantica. Chi credeva, sperava o s’illudeva, che le minacce e gli attacchi facessero parte di un passato ormai definitivamente tale, ha dovuto ricredersi. Con la scelta compiuta, una scelta di guerra, Putin ha finito per rinvigorire la volontà dei Paesi liberi, dei paesi occidentali e delle organizzazioni di cui stiamo parlando – l’Ue, la Nato – di essere sicuri nella loro vita, nel loro modo di operare e di prepararsi a non subire attacchi di questo genere”.
Quanto alle criticità avanzate dal movimento pacifista, il generale Del Vecchio si esprime così: “Risponderei subito che assumere un atteggiamento di equilibrio, o per meglio dire di equidistanza, in una situazione del genere, soltanto perché si vogliono riesumare vecchie logiche e parole d’ordine contro l’Occidente, contro la Nato, mi sembra del tutto assurdo. Agli amici pacifisti vorrei chiedere: che cosa vogliamo? Vogliamo un mondo che possa vivere sulla base di regole precise, in libertà, con la possibilità di scambiarsi esperienze, relazioni, etc? Se la risposta è affermativa, allora ne consegue che chi si oppone a questo deve essere condannato. In una situazione come quella che sta investendo l’Ucraina, è chiara la figura dell’aggressore ed è altrettanto chiara la figura di chi subisce. Chi questa differenza non intende cogliere, sta sbagliando. E di grosso”.
“E Noi”?
Giuseppe Cucchi è generale della riserva dell’Esercito, già direttore del Centro militare di studi strategici, consigliere militare del presidente del Consiglio, rappresentante militare permanente dell’Italia presso Nato, Ue e Ue, consigliere scientifico di Limes.
E su Limes ha pubblicato uno scritto di straordinario interesse, perché riguarda un’area a noi vicina, e non solo geograficamente: il Mediterraneo.
Scrive Cucchi: “Anche se fino a questo momento nulla di irreversibilmente traumatico è ancora avvenuto sulle sponde arabe di un Mediterraneo allargato , questo è ormai il grido che si sta incessantemente levando da tali sponde verso una Europa – e al di la’ di essa verso un intero Occidente – che da troppo tempo stanno dimenticando i compagni di strada del bacino condiviso .
Nel 1989 , ben 33 anni fa per l’esattezza , con la caduta del Muro di Berlino noi ci trovammo di fronte ad un secondo “arco di crisi” , quello ad Est , che si apriva ed entrava in competizione con l’altro “arco di crisi ” , quello a Sud , cui da parecchio tempo eravamo confrontati , sottraendogli attenzione , interesse politico , aiuti militari ,risorse economiche… Sotto la pressione contemporaneamente esercitata dagli Stati Uniti da un lato e dall’altro dai paesi europei cui il duplice crollo del Patto di Varsavia prima e dell’Unione Sovietica poi aveva restituito la libertà , l’Europa finì così rapidamente col preoccuparsi soltanto di donare sicurezza e benessere alla sua area centrosettentrionale di recente recuperata , dimenticando rapidamente le sue connessioni con un Sud ed un Est Mediterraneo che si facevano sempre più inquieti .
Si trattò , tra l’altro , di un processo che riscosse una approvazione pressoché generalizzata , al punto tale che nemmeno i grandi paesi della Europa Meridionale , come l’Italia e la Spagna , nonché per molti versi anche la Francia – che benché non lo ammetta è decisamente mediterranea in tutta la sua parte a sud della Loira – non ritennero opportuno protestare con una decisione tale da cambiare sostanzialmente un orientamento che avrebbe finito col tempo col rivelarsi estremamente pericoloso .
Agli arabi, che iniziavano già più di trenta anni fa a chiederci “E noi ?” fu quindi risposto di attendere con pazienza il momento in cui l’Occidente , dopo aver assicurato la propria frontiera ad est , avrebbe avuto il modo , e le risorse , per occuparsi anche di quanto succedeva nel bacino mediterraneo .
La risposta, almeno momentaneamente accettata, inizio però con gli anni a perdere progressivamente di credibilità,, un processo che poi si accelerò nel momento in cui gli europei non dimostrarono alcuna inclinazione a sostituirsi agli Stati Uniti che nel loro progressivo concentrarsi sull’area del Pacifico avevano sperato di poter delegare agli alleati Nato la gestione dei problemi mediterranei .
In quegli anni , assurdamente , l’unica vera iniziativa Europea nel bacino fu anzi l’azione franco britannica contro Gheddafi , culminata con un conflitto che non ebbe mai una precisa conclusione , ma in compenso eliminò uno dei pilastri di stabilità dell’intera area .
L’abbandono totale , protrattosi per un tempo troppo lungo , portò così , poco più di dieci anni fa , alla stagione delle “primavere arabe ” , disperate rivolte del pane – ma non soltanto di quello ! – che non a caso colpirono con particolare durezza i paesi che per forma di Governo e contatti internazionali risultavano più vicini all’Occidente. . Si trattava di un primo messaggio, un “E noi?” chiarissimo, di cui avremmo dovuto tenere il debito conto, ma che invece fingemmo di non comprendere. Il risultato fu lo scatenarsi di una competizione , una corsa ad occupare il vuoto di potere esistente nell’area , che ebbe come protagonisti maggiori la Cina che acquistò nel bacino mediterraneo tutto ciò che poteva acquistare , Stati compresi , la Turchia , che diede via libera alle sue frustrazioni neo ottomane , e infine la Russia che , grazie alla sanguinaria e criminale disinvoltura dei mercenari della Wagner , si ritagliò un ruolo di potere prima in Siria ed in Libia e successivamente anche in parte del Sahel . Con tutto questo rimaneva comunque viva in tutti gli Stati arabi mediterranei la speranza che una volta terminato il suo compito ad Est l’Occidente si ricordasse finalmente dei suoi compagni di strada meridionali. In un certo senso tale speranza era così viva e forte da consentire loro di procedere malgrado il difficilissimo periodo di crisi politica ed economica che pressoché tutti stavano attraversando. Nel Maghreb infatti la tensione fra Marocco ed Algeria sembra crescere oggi di giorno in giorno, mentre ciascuno dei due Stati cerca di alimentare le istanze separatiste delle altrui minoranze. La Tunisia sta inoltre per affrontare un referendum istituzionale che potrebbe rivelarsi difficile, mentre in Libia si confrontano di nuovo due distinti Governi, una situazione che è un ulteriore passo avanti verso la definitiva spartizione del Paese.
Non vanno meglio le cose in Egitto, ove le difficoltà finanziarie hanno costretto al-Sisi a ricorrere di nuovo ad un aiuto che gli Stati del Golfo certo concederanno …ma a quale prezzo?
O in Libano che anni di crisi economica hanno inchiodato nel terribile ruolo di “Stato fallito”. In Giordania poi la famiglia reale, colonna dell’unità nazionale , è spaccata in due da una faida dinastica senza esclusione di colpi .
La Siria attende nel frattempo con timore una ulteriore recrudescenza del mai concluso conflitto fra Turchia e curdi …e si potrebbe continuare . Su tutto questo cade adesso la tegola del blocco dell’esportazione del grano ucraino, con tutti gli effetti che l’episodio potrà avere sui maggiori consumatori, in particolare Tunisia ed Egitto. Al di là e prima di essa vi è però comunque da considerare come la attuale situazione bellica chiarisca a tutti i paesi delle altre sponde mediterranee, senza alcuna possibilità di dubbio , come per anni ed anni il rischio sia che tutte le attenzioni e le risorse dell’Occidente rimangano concentrate sull’Est europeo . Vi sembrerebbe quindi strano se a questo punto i nostri amici d’oltremare cominciassero e gridare “E noi? E NOI?” con voce progressivamente sempre più forte?”.
Così il generale Cucchi.
Quel “Noi” bussa alle nostre porte. E presto o tardi ci chiederà conto delle politiche praticate, l’esternalizzazione delle frontiere, che hanno contribuito a fare del Mediterraneo il “mare della morte”, e il Nord Africa e il Medio Oriente polveriere pronte a esplodere. I segnali ci sono tutti. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Argomenti: guerra russo-ucraina