La guerra del grano non si è conclusa con l’accordo mediato da Erdogan. A darne conto sono i missili russi su Odessa. A confermarlo a Globalist sono alcuni tra i più autorevoli analisti di geopolitica italiani, concordi su un punto cruciale: l’obiettivo strategico per Mosca è il controllo totale del Mar Nero. Molto più del Donbass o della Crimea. E su questo per Putin non esistono accordi che tengano.
Controllo del Mar Nero
Lo spiega molto bene su Haaretz Anshel Pfeffer, tra i più autorevoli analisti di geopolitica israeliani che la guerra in Ucraina ha raccontato dal campo di battaglia.
Scrive Pfeffer: “Sono passate appena 12 ore dalla firma di un accordo per consentire l’esportazione di grano dall’Ucraina – che il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha definito un faro di speranza sul Mar Nero – prima che la Russia attaccasse il porto di Odessa con missili da crociera sabato mattina. La prima risposta della Russia è stata quella di negare l’attacco, nonostante i filmati mostrassero i missili Kalibr colpire il porto (sono stati lanciati quattro missili, due dei quali sono stati intercettati dai sistemi di difesa aerea dell’Ucraina). Poi, 24 ore dopo, ha affermato di aver sparato contro “infrastrutture militari”, che non sono contemplate nell’accordo. Ciò che è chiaro è che i russi non intendono mollare una delle loro principali leve di pressione sull’economia ucraina e sui mercati alimentari globali.
Non è ancora chiaro quando e in che misura riprenderà l’esportazione di grano attraverso il Mar Nero. Secondo i termini dell’accordo firmato a Istanbul la scorsa settimana, i porti di Odesa e delle vicine Yuzhne e Chornomorsk non saranno presi di mira dalla Russia e le navi da carico potranno trasportare il grano attraverso il Mar Nero fino alla Turchia, sulla costa meridionale. L’attacco missilistico della Russia probabilmente ritarderà l’inizio. Nel frattempo, la Russia stessa ha già tratto vantaggio dall’accordo sul grano.
Nell’ambito dei negoziati, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno dichiarato categoricamente che non sono previste sanzioni sulle esportazioni agricole della Russia. Questo era comunque il caso, ma le compagnie di navigazione e commerciali internazionali erano preoccupate di fare affari con la Russia per paura di incorrere nelle sanzioni. Ora la Russia può vendere i propri prodotti (che probabilmente includono il grano ucraino che ha saccheggiato) e i fertilizzanti senza timori. Un altro vantaggio per la Russia è la presenza di propri osservatori sulle navi che vanno avanti e indietro, per garantire che non vengano utilizzate per trasportare armi e munizioni in Ucraina. In altre parole, ora i russi hanno un veto sulle esportazioni dell’Ucraina e nessuno si sorprenderà se ne faranno largo uso.
Il blocco navale dell’Ucraina, in atto dall’inizio dell’invasione russa a febbraio, così come la chiusura dello spazio aereo ucraino, è l’unico risultato veramente strategico della Russia in tutto questo tempo. Le avanzate via terra verso le principali città ucraine – Kiev, Kharkiv e Odessa – sono state tutte bloccate. I russi hanno ottenuto alcuni guadagni tattici, come il completamento del controllo sulla regione di Luhansk (che avevano già occupato per metà nel 2014). Ma nella regione di Donetsk la loro avanzata si è impantanata e, più a sud, la controffensiva ucraina li sta respingendo nella regione di Kherson. I russi hanno ampiamente fallito anche in mare, nonostante la marina ucraina non disponga di navi da guerra. Le batterie di difesa costiera ucraine sono riuscite a sventare i tentativi di sbarco via mare sulle spiagge di Odesa, mentre i loro missili hanno costretto la Flotta del Mar Nero a operare lontano dalla costa, soprattutto dopo l’affondamento dell’incrociatore ammiraglio Moskva in aprile. I droni e i missili ucraini hanno anche costretto i russi a lasciare l’Isola dei Serpenti, permettendo ai porti più piccoli a ovest di riprendere le operazioni.
Tuttavia, nonostante gli insuccessi navali, i russi sono riusciti a bloccare i principali porti del Mar Nero e a distruggere e catturare Mariupol e il resto del Mar d’Azov. Senza questi sbocchi, l’Ucraina può esportare solo una parte dei 22 milioni di tonnellate di grano che si sono accumulati dall’inizio della guerra. Il blocco permette ai russi di paralizzare l’economia ucraina e di influenzare i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale. Fino all’inizio della guerra, l’Ucraina forniva il 10% del consumo mondiale di grano e metà dell’olio di girasole.
La Russia ha firmato tardivamente l’accordo a Istanbul, sia per liberare le proprie esportazioni sia per fare un gesto diplomatico nei confronti dei Paesi del Medio Oriente e dell’Asia, preoccupati per l’aumento dei costi del grano.
Anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che la scorsa settimana ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin a Teheran, ha svolto un ruolo importante. La Turchia è diventata un importante snodo per il commercio russo, consentendole di aggirare parzialmente le sanzioni, e guadagnerà ancora di più diventando la stazione di passaggio per il grano ucraino. Putin non vuole irritare troppo Erdogan. Entrambi hanno molto da perdere.
Putin, tuttavia, non vuole che si pensi che stia rinunciando al controllo del Mar Nero. I missili lanciati su Odesa sono stati un promemoria del fatto che, anche se l’accordo di Istanbul viene attuato, egli può fermare le navi in qualsiasi momento. Non si tratta solo di una minaccia per la catena di approvvigionamento alimentare globale, ma di un’indicazione di ciò che è pronto a fare alle forniture di gas naturale all’Europa tra qualche mese, con l’arrivo dell’inverno.
Non sorprende che le forniture di armi pesanti promesse dalla Germania all’Ucraina – e ad altri Paesi europei che hanno inviato armi all’Ucraina, dopo le assicurazioni tedesche che le avrebbero sostituite – siano inspiegabilmente in ritardo. Ciò potrebbe anche essere collegato alla riluttanza americana a fornire all’Ucraina razzi a più lunga gittata per le batterie mobili HIMARS già inviate. Questi stanno creando scompiglio distruggendo obiettivi di alto valore dietro le linee del fronte russo.
Putin è pronto a giocare d’azzardo nella speranza che le nazioni occidentali non mettano a rischio l’accordo di Istanbul inviando all’Ucraina altre armi che cambiano le carte in tavola. Sa che l’Occidente non ha altre soluzioni per esportare il grano.
Esiste, ovviamente, un modo migliore per farlo. L’Occidente potrebbe formare una task force navale in grado di proteggere le rotte commerciali del Mar Nero. Le marine della NATO, che comprendono la Turchia, potrebbero facilmente mettere insieme una forza di gran lunga superiore a quella della Russia. Ma sono ancora determinati a evitare qualsiasi possibilità di scontro militare diretto con la Russia. Finché questo rimarrà il caso, Putin potrà continuare a strangolare l’economia ucraina e l’approvvigionamento alimentare globale…”.
Così Pfeffer
L’incognita del sultano
Ne scrive su La Stampa Anna Zafesova:, che la realtà russa conosce come pochi “[…]Non è ancora chiaro quale sarà la reazione di Ankara, dopo che la Turchia si era fatta garante dell’accordo sul grano e il suo ministero della Difesa aveva sabato diffuso la versione dei militari russi sulla loro estraneità ai missili sul porto di Odessa. Lavrov promette che a scortare le navi con il grano saranno, oltre ai russi e ai turchi, anche le pattuglie di una «terza parte» che non ha rivelato. Resta difficile parlare di negoziato quando il capo della diplomazia russa non nasconde nemmeno che si tratta di una guerra di conquista. Il consigliere della presidenza ucraina Mikhailo Podolyak ha bollato le dichiarazioni di Lavrov come «solita schizofrenia russa», avvertendo che «a voler cacciare regimi “antistorici” si rischia di finire incidentalmente per primi nella discarica della storia». Però, per quanto Lavrov ormai sembri più un volto della propaganda che della diplomazia, diverse fonti russe e ucraine parlano di emissari moscoviti che cercano un negoziato, o almeno una tregua. Le difficoltà russe sul fronte appaiono ormai evidenti, e l’offensiva nel Donbass si è sostanzialmente bloccata tra perdite, defezioni di migliaia di soldati e gli ucraini che con i missili americani HIMARS stanno distruggendo metodicamente i magazzini di armi e i convogli di rifornimenti russi. L’esercito ucraino ha di fatto iniziato la controffensiva a Kherson, dove migliaia di truppe russe rischiano di finire circondate, e Yulia Latynina sulla Novaya Gazeta sostiene che Putin aveva cercato di barattare la rinuncia di Kiev al contrattacco contro l’esportazione di grano, senza riuscirci. Il consigliere del ministro dell’Interno ucraino, il politologo Viktor Andrusiv, ha ipotizzato già qualche giorno fa un nuovo «gesto di buona volontà» di Mosca, come quando era stata costretta a ritirarsi dall’isola dei Serpenti. Ma le contraddizioni sull’accordo sul grano, e sull’attacco a Odessa, potrebbero far sospettare anche una lotta all’interno del Cremlino stesso…”.
Di pari interesse è la riflessione, sempre sul giornale diretto da Massimo Gianni, di Nathalie Tocci: “[…] Gli accordi sul grano raggiunti tra Russia e Ucraina e mediati dall’Onu e dalla Turchia rappresentano uno spiraglio di pace o l’ennesimo tassello dello scacchiere di guerra? Sono intese di importanza esistenziale. Oltre 20 milioni di tonnellate di grano bloccate nei porti ucraini, 47 milioni di persone in Africa e Asia che rischiano la fame per il blocco navale russo del Mar Nero. Le conseguenze globali della guerra russo-ucraina, dalla sicurezza alimentare a quella energetica, sono devastanti. È per questo che annunciando l’accordo per le esportazioni dei cereali ucraini, il segretario generale dell’Onu António Guterres lo ha definito un raggio di luce, il primo in quasi sei mesi di guerra. L’accordo, o meglio gli accordi, sono complessi. Prevedono la riapertura dei porti di Odessa, Chornomorsk e Yuzhny; la creazione di un canale sicuro ucraino che permetterebbe ai cargo commerciali di navigare la gimcana di mine nel Mar Nero; un centro di controllo a Istanbul in cui ucraini, russi, turchi e Onu monitorebbero le navi per assicurare che non trasportino armi; e infine l’impegno russo di non attaccare i porti e le imbarcazioni impegnate nell’operazione. Parallelamente, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno chiarito che il quadro sanzionatorio non riguarda le esportazioni di cibo e fertilizzanti russi, essenziali per attenuare la crisi alimentare globale. Non era ancora asciutto l’inchiostro dell’accordo, però, che la Russia ha lanciato quattro missili sul porto di Odessa: due hanno colpito il terminale dell’esportazione del grano. Non è un caso. Le oscillazioni russe tra accuse da fine del mondo e vittimismo, tra narrazioni pompose sulle rosee prospettive dell’economia russa e danni «colossali» delle sanzioni occidentali, tra giustificazioni dell’invasione alla luce della minaccia Nato e ammissione del progetto di restaurazione imperiale, e adesso tra accordi firmati e attacchi armati che rischiano di rendere carta straccia il traguardo faticosamente raggiunto dalla diplomazia, sono elementi che rappresentano l’ormai prevedibile imprevedibilità della strategia del Cremlino. Chiudere gli occhi su questa realtà, nell’illusione che l’accordo sul grano faccia da apripista ad un’intesa di pace più ampia, non è solo ingenuo, ma irresponsabile. Ciò non vuol dire mettere la diplomazia nel cassetto, ma perseguirla con gli occhi ben aperti in una guerra protratta che rischia di durare per anni, e con ritmi e forme diversi”. Così Tocci.
La cronicizzazione della guerra, aggiungiamo noi, non è solo nei fatti militari ma anche nei calcoli politici, ed elettorali, di alcuni dei suoi protagonisti esterni. Una guerra a bassa intensità, probabilmente, che avrà delle impennate a seconda dei messaggi che Mosca e Kiev intenderanno mandare al mondo. A bassa intensità, ma comunque guerra. Con il bilancio delle vittime che continuerà a crescere, con il rischio di una estensione del conflitto ad altri Paesi confinante sempre in agguato. Con le sanzioni, più o meno rafforzate, che continueranno a pesare sulle bollette energetiche nazionali. Con una Europa alle prese con crisi politiche interne (Italia e non solo) e con una crisi economico-sociale prodotto del combinato disposto di guerra e di una pandemia tutt’altro che superata. La guerra proseguirà anche se non conquisterà vagonate di pagine su giornali o speciali televisivi. Fino a quando una nuova, inevitabile, escalation busserà alle nostre porte. E allora…