Ed ora cosa diranno Matteo&Matteo, al secolo (Matteo) Renzi e (Matteo) Salvini? Che pure la Cia è da includere tra i “nemici d’Israele”? E visto che ci siamo, perché non infilarci dentro anche il Guardian?
Cosa è successo? Che l’intelligence americana (Cia) non ha trovato alcuna prova a sostegno della decisione di Israele di classificare sei Ong palestinesi come “organizzazioni terroristiche”. E’ quanto riportava ieri il Guardian citando due fonti a conoscenza del rapporto redatto dalla Cia dopo che a inizio anno le autorità israeliane hanno trasmesso a Washington informazioni riguardo tale designazione.
Di cosa si tratta, Globalist lo ha raccontato come pochi altri in Italia. Lo scorso ottobre Israele ha designato come terroristiche sei Ong – Addameer Prisoner Support and Human Rights Association, Al-Haq, Bisan Center for Research and Development, Defense for Children International-Palestine, Union of Agricultural Work Committees e Union of Palestinian Women Committees – sostenendo che farebbero parte del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, partito politico di sinistra che ha un braccio paramilitare. E la scorsa settimana le forze armate israeliane hanno fatto irruzione negli uffici delle sei ong, sequestrando materiali e sigillando le porte degli uffici, su cui sono stati affissi avvisi in cui le organizzazioni sono state dichiarate illegali. (Segue)
Il rapporto della Cia, ha detto una fonte al Guardian, “non afferma che i gruppi sono colpevoli di qualcosa”. E la seconda fonte ha precisato che il documento è altamente classificato. Nove Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno bollato come “inaccettabili” i raid israeliani della scorsa settimana, ribadendo in una nota che “da Israele non sono arrivate informazioni sostanziali che giustifichino la revisione della nostra politica nei confronti delle sei Ong palestinesi sulla base della decisione israeliana di designare queste Ong come ‘organizzazioni terroristiche'”.
A proposito di apartheid
Se fosse per il duo Matteo&Matteo, e la stampa mainstream che fa loro da megafono mediatico, tra i “nemici d’Israele” va sicuramente annoverata anche Amnesty International. Colpevole di aver sostenuto che le autorità israeliane devono essere chiamate a rendere conto del crimine di apartheid contro i palestinesi. Una richiesta che discende da un rapporto di 278 pagine nel quale AI descrive dettagliatamente il sistema di oppressione e dominazione di Israele nei confronti della popolazione palestinese, ovunque eserciti controllo sui loro diritti: i palestinesi residenti in Israele, quelli dei Territori palestinesi occupati e i rifugiati che vivono in altri stati.
Nel rapporto si legge che le massicce requisizioni di terre e proprietà, le uccisioni illegali, i trasferimenti forzati, le drastiche limitazioni al movimento e il diniego di nazionalità e cittadinanza ai danni dei palestinesi fanno parte di un sistema che, secondo il diritto internazionale, costituisce apartheid. Questo sistema si basa su violazioni dei diritti umani che, secondo Amnesty International, qualificano l’apartheid come crimine contro l’umanità così come definito dallo Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale e dalla Convenzione sull’apartheid.
Amnesty International chiede al Tribunale penale internazionale di includere il crimine di apartheid nella sua indagine riguardante i Territori palestinesi occupati e a tutti gli stati di esercitare la giurisdizione universale per portare di fronte alla giustizia i responsabili del crimine di apartheid.
“Il nostro rapporto rivela la reale dimensione del regime di apartheid di Israele. Che vivano a Gaza, a Gerusalemme Est, a Hebron o in Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sono sistematicamente privati dei loro diritti. Abbiamo riscontrato che le crudeli politiche delle autorità israeliane di segregazione, spossessamento ed esclusione in tutti i territori sotto il loro controllo costituiscono chiaramente apartheid. La comunità internazionale ha l’obbligo di agire”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Non è possibile giustificare in alcun modo un sistema edificato sull’oppressione razzista, istituzionalizzata e prolungata, di milioni di persone. L’apartheid non ha posto nel nostro mondo e gli stati che scelgono di essere indulgenti verso Israele si troveranno a loro volta dal lato sbagliato della storia. I governi che continuano a fornire armi a Israele e lo proteggono dai meccanismi di accertamento delle responsabilità delle Nazioni Unite stanno sostenendo un sistema di apartheid, compromettendo l’ordine giuridico internazionale ed esacerbando la sofferenza della popolazione palestinese. La comunità internazionale deve affrontare la realtà dell’apartheid israeliano e dare seguito alle molte opportunità di cercare giustizia che rimangono vergognosamente inesplorate”, ha aggiunto Callamard.
Le conclusioni di Amnesty International sono rafforzate da un crescente lavoro di organizzazioni non governative palestinesi, israeliane e internazionali che sempre più spesso applicano la definizione di apartheid alla situazione in Israele e/o nei Territori palestinesi occupati.
L’identificazione dell’apartheid
Un sistema di apartheid è un regime istituzionalizzato di oppressione e di dominazione di un gruppo razziale su un altro. È una grave violazione dei diritti umani vietata dal diritto pubblico internazionale. Le ampie ricerche e l’analisi giuridica condotte da Amnesty International insieme a esperti esterni all’organizzazione dimostrano che Israele attua un sistema di questo tipo nei confronti dei palestinesi attraverso leggi, politiche e prassi che assicurano trattamenti discriminatori crudeli e prolungati. Nel diritto penale internazionale, specifici atti illegali commessi nel contesto di un sistema di oppressione e di dominazione con lo scopo di mantenerlo costituiscono il crimine contro l’umanità di apartheid. Questi atti sono descritti nella Convenzione sull’apartheid e nello Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale e comprendono le uccisioni illegali, la tortura, i trasferimenti forzati e il diniego dei diritti e delle libertà basilari.
Amnesty International ha documentato atti vietati dalla Convenzione sull’apartheid e dallo Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale in tutte le aree sotto il controllo israeliano, sebbene si verifichino con maggiore frequenza nei Territori palestinesi occupati piuttosto che in Israele.
Le autorità israeliane hanno introdotto tutta una serie di misure per negare deliberatamente i diritti e le libertà basilari ai palestinesi, anche attraverso drastiche limitazioni al movimento nei Territori palestinesi occupati, i cronici e discriminatori minori investimenti a favore delle comunità palestinesi residenti in Israele e il diniego del diritto al ritorno dei rifugiati. Il rapporto documenta inoltre i trasferimenti forzati, la detenzione amministrativa, la tortura e le uccisioni illegali sia in Israele che nei Territori palestinesi occupati.
Amnesty International ha rilevato che questi atti formano parte di attacchi sistematici e diffusi contro la popolazione palestinese, commessi allo scopo di mantenere il sistema di oppressione e di dominazione. Pertanto, costituiscono il crimine contro l’umanità di apartheid.
L’uccisione illegale di manifestanti palestinesiè forse il più chiaro esempio di come le autorità israeliane ricorrano ad atti vietati per mantenere il loro status quo. Nel 2018 i palestinesi di Gaza avviarono proteste settimanali lungo il confine con Israele per affermare il diritto al ritorno dei rifugiati e chiedere la fine del blocco. Ancora prima che le proteste avessero inizio, alti funzionari israeliani avvisarono che contro i palestinesi che si fossero avvicinati al confine sarebbe stato aperto il fuoco. Alla fine del 2019,le forze israeliane avevano ucciso 214 civili palestinesi, tra cui 46 minorenni.
Alla luce delle sistematiche uccisioni illegali di palestinesi documentate nel suo rapporto, Amnesty International chiede al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di imporre un embargo totale sulle armi verso Israele. Questo embargo, a causa delle migliaia di uccisioni illegali di palestinesi compiute dalle forze israeliane, dovrebbe comprendere tutte le armi e le munizioni, così come le forniture di sicurezza. Il Consiglio di sicurezza dovrebbe imporre anche sanzioni mirate, come il congelamento dei beni dei funzionari israeliani implicati nel crimine di apartheid.
Amnesty International può dimostrare che le autorità israeliane trattano i palestinesi come un gruppo razziale inferiore, definito dal loro status non-ebreo e arabo. Questa discriminazione razziale affonda le radici in leggi che colpiscono i palestinesi sia in Israele che nei Territori palestinesi occupati.
Ad esempio, ai palestinesi residenti in Israele viene negata la nazionalità e ciò costituisce una differenziazione giuridica rispetto agli ebrei israeliani. In Cisgiordania e a Gaza, dove Israele controlla il registro anagrafico sin dal 1967, i palestinesi non hanno alcuna cittadinanza, molti sono considerati apolidi e devono chiedere carte d’identità all’esercito israeliano per vivere e lavorare nei territori.
I rifugiati palestinesi e i loro discendenti, sfollati nelle guerre del 1947-49 e del 1967, continuano a vedersi negato il diritto al ritorno nel loro precedente luogo di residenza. L’esclusione dei rifugiati da parte di Israele è una evidente violazione del diritto internazionale che lascia milioni di persone in un limbo perpetuo di sfollamento forzato.
I palestinesi dell’annessa Gerusalemme Est hanno un permesso permanente di residenza anziché la cittadinanza e, peraltro, questo status è permanente solo sulla carta. Dal 1967, il ministero dell’Interno ha revocato a sua discrezione la residenza a oltre 14.000 palestinesi, che sono stati trasferiti a forza fuori dalla città.
Il rapporto di Amnesty International contiene numerose raccomandazioni specifiche affinché Israele possa smantellare il sistema di apartheid e la discriminazione, la segregazione e l’oppressione che lo sostengono.
L’organizzazione per i diritti umani chiede in primo luogo la fine delle pratiche brutali delle demolizioni delle abitazioni e degli sgombri forzati.
Inoltre, Israele deve riconoscere uguali diritti a tutti i palestinesi in Israele e nei Territori palestinesi occupati, come prevedono i principi del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario; deve riconoscere il diritto dei rifugiati e dei loro discendenti al ritorno nelle abitazioni dove loro o i loro familiari vivevano; deve fornire piena riparazione alle vittime delle violazioni dei diritti umani e dei crimini contro l’umanità.
Lo spossessamento
Lo spossessamento e lo sfollamento dei palestinesi dalle loro abitazioni è un pilastro determinante del sistema israeliano di apartheid. Dalla sua istituzione, lo stato israeliano ha eseguito massicce e crudeli requisizioni di terre palestinesi e continua ad applicare una miriade di leggi e politiche che forzano la popolazione palestinese a risiedere in piccole enclavi. Dal 1948 Israele ha demolito centinaia di migliaia di case e di altre strutture palestinesi in tutte le aree sotto la sua giurisdizione e sotto il suo effettivo controllo.
Come nella regione del Negev/Naqab, i palestinesi di Gerusalemme Est e dell’area C dei Territori palestinesi occupati vivono sotto totale controllo israeliano. Le autorità negano ai palestinesi il permesso di costruire in queste zone, non lasciando loro altra alternativa che edificare strutture illegali che vengono via via demolite.
Nei Territori palestinesi occupati, la continua espansione degli insediamenti israeliani – una politica attuata dal 1967 – rende ancora più grave la situazione. Oggi gli insediamenti coprono il 10 per cento delle terre della Cisgiordania. Tra il 1967 e il 2017 circa il 38 per cento delle terre palestinesi di Gerusalemme Est è stato espropriato.
I quartieri palestinesi di Gerusalemme Est sono spesso presi di mira da organizzazioni di coloni che, col pieno appoggio del governo israeliano, agiscono per sfollare le famiglie palestinesi e annettere le loro case. Uno di questi quartieri, Sheikh Jarrah, è al centro di frequenti proteste dal maggio 2021: le famiglie che vi risiedono cercano di difendere le loro case dalle minacce degli esposti di sgombero presentati dai coloni.
La dimensione e la gravità delle violazioni documentate nel rapporto di Amnesty International richiedonoun drastico cambiamento dell’approccio della comunità internazionale alla crisi dei diritti umani in atto in Israele e nei Territori palestinesi occupati.
Tutti gli stati possono esercitare la giurisdizione universale nei confronti di persone ragionevolmente sospettate di aver commesso il crimine di apartheid. Gli stati parte dello Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale hanno l’obbligo di farlo.
“La risposta internazionale all’apartheid non deve più limitarsi a blande condanne e a formule ambigue. Se noi non ne affronteremo le cause di fondo, palestinesi e israeliani rimarranno intrappolati nel ciclo di violenza che ha distrutto così tante vite. Israele deve smantellare il sistema dell’apartheid e iniziare a trattare i palestinesi come esseri umani con uguali diritti e dignità. Se non lo farà, la pace e la sicurezza resteranno una prospettiva lontana per gli israeliani come per i palestinesi”, ha concluso Callamard.
Pure lei è una irriducibile nemica d’Israele?
Argomenti: Palestina