Torturano, stuprano, sparano sulle navi Ong. Questi criminali sono finanziati dall’Italia. Finanziati, addestrati, armati e spacciati per autorità con cui stringere patti. Libia, un porto sicuro. Sicuro per i trafficanti di esseri umani e per coloro che l’Italia e l’Europa considerano “ministri” di improbabili governi.
Un Rapporto sconvolgente
I migranti bloccati in Libia mentre tentano di raggiungere l’Europa vengono sistematicamente torturati e costretti alla schiavitù sessuale. È una delle accuse emerse da tre anni di indagini del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, i cui incaricati hanno intervistato centinaia di persone.
Ci sono “prove schiaccianti” tali da “ritenere che una vasta gamma di crimini di guerra e crimini contro l’umanità siano stati commessi dalle forze di sicurezza libiche e da gruppi di milizie armate”, si legge nel rapporto, le persone detenute sono state sottoposte a “tortura, isolamento, detenzione in isolamento. È stato negato un adeguato accesso ad acqua, cibo, servizi igienici, luce, attività fisica, cure mediche, consulenza legale e comunicazione con i membri della famiglia”. Quasi tutti i sopravvissuti intervistati non hanno denunciato formalmente gli abusi per paura di rappresaglie, arresti, estorsioni e mancanza di fiducia nel sistema giudiziario.
Il rapporto critica inoltre l’Unione europea per “il sostegno fornito alla Guardia costiera libica in termini di allontanamenti, respingimenti e intercettazioni”, che “ha portato a violazioni di alcuni diritti umani”, ha dichiarato uno degli investigatori, Chaloka Beyani. “Non si possono respingere le persone in aree non sicure, e le acque libiche non sono sicure per l’imbarco dei migranti”, ha proseguito, precisando che l’Ue e i suoi Stati membri non sono stati ritenuti responsabili di crimini, ma “il sostegno fornito ha aiutato e favorito la commissione dei crimini” stessi.
Una ricostruzione dettagliata
E’ quella operata da greenreport.it. “Il 22 giugno 2020 l’United Nations Human Rights Council (Hrc) ha istituito l’Independent Fact-Finding Mission on Libya (Ffm) per indagare sulle violazioni e gli abusi dei diritti umani in tutta la Libia dall’inizio del 2016, per prevenire un ulteriore deterioramento della la situazione dei diritti umani e per garantire che i responsabili vengano perseguiti, l’Hrc ha successivamente prorogato il mandato della Ffm per un periodo finale non prorogabile di nove mesi, per presentare le sue raccomandazioni conclusive.
La Ffm ha intrapreso 13 missioni, condotto più di 400 interviste e raccolto più di 2.800 informazioni, comprese immagini fotografiche e audiovisive e ora ha presentato il suo rapporto finale e ha espresso «Profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani nel Paese», concludendo che «Vi sono motivi per ritenere che sia stata commessa un’ampia gamma di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dalle forze di sicurezza dello Stato e da gruppi di milizie armate».
Mentre l’Italia continua a finanziare il governo libico (di Tripoli) e le sue milizie, l’inchiesta Ffm delinea quello che definisce «Un ampio sforzo delle autorità per reprimere il dissenso della società civile» e documenta «Numerosi casi di detenzione arbitraria, omicidio, stupro, riduzione in schiavitù, esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate», sottolineando che «Quasi tutti i sopravvissuti intervistati si sono astenuti dal sporgere denuncia ufficiale per paura di rappresaglie, arresti, estorsioni e sfiducia nel sistema giudiziario».
Anche se ormai nemmeno più Matteo Salvini e Giorgia Meloni – dimenticati i bei tempi in cui invocavano il blocco navale e il respingimento di tutti i migranti – definiscono più la Libia “un porto sicuro”, il rapporto ricorda che già ai tempi della propaganda elettorale «I migranti, in particolare, sono stati presi di mira e ci sono prove schiaccianti che siano stati sistematicamente torturati. Vi sono ragionevoli motivi per ritenere che la schiavitù sessuale, un crimine contro l’umanità, sia stata commessa contro i migranti». Forse il ministro Piantedosi, se leggesse il rapporto, capirebbe perché chi fugge dalla Libia (e ora dalla Tunisia) rischia la vita pur di sfuggire all’inferno in Terra.
Mohamed Auajjar, presidente della Ffm ha detto che «C’è un urgente bisogno di responsabilità per porre fine a questa pervasiva impunità. Chiediamo alle autorità libiche di sviluppare senza indugio un piano d’azione per i diritti umani e una road map completa sulla giustizia di transizione incentrata sulle vittime e di ritenere responsabili tutti i colpevoli delle violazioni dei diritti umani».
Il rapporto ricorda che «Il governo libico è obbligato a indagare sulle accuse di violazioni dei diritti umani e crimini nelle aree sotto il suo controllo in conformità con gli standard internazionali. Ma le pratiche e i modelli di gravi violazioni continuano senza sosta, e ci sono poche prove che siano stati compiuti passi significativi per invertire questa preoccupante traiettoria e portare soccorso alle vittime».
E, nonostante le missioni petrolifere della nostra primo ministro che annuncia futuristici “Piani Mattei”, il rapporto evidenzia che «Il mandato della Missione sta terminando quando la situazione dei diritti umani in Libia si sta deteriorando, stanno emergendo autorità statali parallele e le riforme legislative, esecutive e del settore della sicurezza necessarie per sostenere lo stato di diritto e unificare il Paese sono lungi dall’essere realizzate. In questo contesto polarizzante, i gruppi armati che sono stati implicati in accuse di tortura, detenzione arbitraria, tratta e violenza sessuale restano ritenuti non responsabili».
Le indagini della Ffm hanno rilevato che «Le autorità libiche, in particolare i settori della sicurezza, stanno riducendo i diritti di riunione, associazione, espressione e credo per garantire l’obbedienza, radicare valori e norme egoistici e punire le critiche contro le autorità e la loro leadership. Gli attacchi contro, tra l’altro, difensori dei diritti umani, attiviste per i diritti delle donne, giornalisti e associazioni della società civile hanno creato un’atmosfera di paura che ha spinto le persone all’autocensura, alla clandestinità o all’esilio in un momento in cui è necessario creare un’atmosfera che sia favorevole a elezioni libere ed eque affinché i libici esercitino il loro diritto all’autodeterminazione e scelgano un governo rappresentativo per governare il Paese».
Questi i governanti ai quali stringiamo le mani e con i quali (ri)stringiamo patti petroliferi e gasieri, ai quali consegniamo armi e motovedette. E mentre il governo annuncia la caccia agli scafisti in tutto il globo terracqueo che verrebbero favoriti dalla sinistra e dalle Ong, il rapporto afferma che in realtà durante il suo ultimo viaggio in Libia la nostra premier si è amichevolmente intrattenuta con alcuni di quei trafficanti: «La tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l’estorsione e il traffico di migranti vulnerabili hanno generato entrate significative per individui, gruppi e istituzioni statali e hanno incentivato la continuazione delle violazioni. Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che i migranti siano stati ridotti in schiavitù in centri di detenzione ufficiali così come in “prigioni segrete” e che lo stupro sia stato commesso come crimine contro l’umanità». I trafficanti di esseri umani sono gli stessi con i quali facciamo accordi e parliamo del “Piano Mattei”: «Nel contesto della detenzione, le autorità statali e le entità affiliate – tra cui l’Apparato di deterrenza della Libia per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo (Dacot), le Forze armate arabe libiche (Laaf), l’Agenzia per la sicurezza interna (Isa) e l’Apparato di supporto alla stabilità ( Ssa) e la loro leadership – sono stati ripetutamente trovati coinvolti in violazioni e abusi. I detenuti sono stati regolarmente sottoposti a tortura, isolamento, detenzione in isolamento ed è stato negato un adeguato accesso ad acqua, cibo, servizi igienici, luce, esercizio fisico, cure mediche, consulenza legale e comunicazione con i familiari».
Inoltre, il rapporto afferma che «Le donne sono sistematicamente discriminate in Libia. La loro situazione è notevolmente peggiorata negli ultimi tre anni. La sparizione forzata della deputata Sihem Sergiwa e l’uccisione di Hannan Barassi sono rimaste questioni di profonda preoccupazione per la Ffm», e gli esperti hanno ribadito il loro «Appello alle autorità di Bengasi affinché indaghino adeguatamente su queste violazioni e ritengano responsabili i colpevoli».
La Missione ha invitato l’Human Rights Council a «Istituire un meccanismo di indagine internazionale indipendente dotato di risorse sufficienti» e ha esortato l’ UN High Commissioner for Human Rights (Ohchr) a «Istituire un meccanismo distinto e autonomo con un mandato permanente per monitorare e riferire in merito gravi violazioni dei diritti umani, al fine di sostenere gli sforzi di riconciliazione libici e assistere le autorità libiche nel raggiungimento della giustizia di transizione e per individuare i responsabili dei crimini»-
La Ffm condividerà con l’International Criminal Court, secondo gli standard di cooperazione internazionale in materia penale e l’accordo sulle relazioni Onu-Icc, il materiale e i risultati che ha raccolto durante il suo mandato e un elenco di persone che ha identificato come possibili autori di violazioni dei diritti umani e crimini internazionali”.
Crimini in mare
“Il nostro equipaggio è stato minacciato con le armi dai guardacoste libici finanziati dall’Unione europea”. E’ la denuncia della Ong Sos Méditerannée, in mare con la nave Ocean Viking. L’organizzazione ha raccontato su Twitter di essersi trovata in “acque internazionali” questa mattina dopo aver ricevuto la segnalazione di un gommone in pericolo da Alarm Phone e di essere stata avvicinata dalla ‘motovedetta 656‘ che “minacciando l’equipaggio” ha sparato in aria. La nave ha lasciato la scena per la sicurezza dell’equipaggio, mentre il Sea Bird 2 della Ong Sea-Watch, “sorvolando la scena, ha poi avvistato persone in acqua, mentre la Guardia costiera libica procedeva a intercettazione forzata”. Secondo le Ong si tratta di “circa 80 persone respinte in Libia”.
Il comunicato
“Nella mattinata del 25 marzo la guardia costiera libica – finanziata, equipaggiata e addestrata dagli Stati membri dell’Unione Europea – ha minacciato l’equipaggio della Ocean Viking con colpi d’arma da fuoco, prima di intercettare brutalmente circa 80 persone in difficoltà in acque internazionali.
La nave di soccorso Ocean Viking, gestita da Sos Mediterranee, nelle ore precedenti era stata allertata da Alarm Phone della presenza di un’imbarcazione in pericolo in acque internazionali al largo della Libia. Mentre l’equipaggio della nave umanitaria si preparava al soccorso, la motovedetta 656 della guardia costiera libicaè arrivata sul posto, avvicinandosi pericolosamente alla Ocean Viking. Tutti i tentativi del team di comando di contattare la nave della guardia costiera libica via Vhf (radio) sono rimasti senza risposta. L’equipaggio della motovedetta libica ha iniziato a comportarsi in modo aggressivo, minacciando con le armi e sparando colpi di fucile in aria, a poche decine di metri di distanza dalla nostra nave.
Dato che l’incolumità dell’equipaggio era minacciata, la Ocean Viking non ha avuto altra scelta che allontanarsi dalla scena, mentre la guardia costiera libica continuava a sparare colpi di arma da fuoco. L’aereo civile di sorveglianza Seabird 2, gestito dalla Ong Sea Watch, ha monitorato la scena. Seabird 2 ha in seguito confermato di aver avvistato persone cadute in mare dal gommone e poi recuperate. Circa 80 persone sono state dunque intercettate dalla guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia.
È la seconda volta quest’anno che Sos Mediterranee vede la guardia costiera libica mettere deliberatamente in pericolo la sicurezza dei naufraghi e del proprio equipaggio. A gennaio, la guardia costiera libica ha interferito mentre un’operazione di salvataggio era in corso, impedendo alla squadra di ricerca e soccorso a bordo della nostra lancia di tornare alla nave madre. Fortunatamente, i sopravvissuti e l’equipaggio, poco dopo, hanno potuto mettersi al sicuro sulla Ocean Viking.
Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, nel primo trimestre dell’anno sono morte nel Mediterraneo centrale almeno 410 persone. Le notizie devastanti di naufragi come quello di Cutro hanno recentemente scosso l’opinione pubblica. Eppure, tutto ciò che arriva in risposta alla infinita scia di morte nel Mediterraneo centrale sono i colpi di arma da fuoco, sparati da mezzi finanziati ed equipaggiati dagli Stati membri dell’Unione Europea.
Sos Mediterranee condanna questa escalation di violenza e la deliberata minaccia all’incolumità del nostro equipaggio e dei naufraghi nel Mediterraneo centrale da parte della guardia costiera libica, sponsorizzata dall’UE.
Serve, e da anni continua a servire, una risposta umanitaria europea a ciò che avviene nel Mediterraneo”.
“Ho visto su Twitter il video di Sos Mediterranee con gli spari dalla motovedetta della cosiddetta Guardia Costiera libica per costringere l’Ocean Viking a rinunciare a salvare delle persone in pericolo. E poi la stessa motovedetta, come denuncia Sea Watch grazie all’osservazione dell’aereo Sea Bird, ha provveduto con violenza ad intercettare e ad catturare circa 80 persone in fuga dalla Libia. È l’ulteriore conferma che la Ue e il governo italiano finanziano dei veri e propri pirati”. Lo afferma il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra. “I responsabili politici di questo scempio lo avranno sulla coscienza per tutta la vita, e dovranno venire in Parlamento – conclude il leader di SI – a spiegare questi comportamenti immorali inaccettabili”.
La richiesta del segretario di SI è più che opportuna e fondata. Si spera che sia condivisa da tutti i leader dell’opposizione.
Argomenti: Migranti