Gli omosessuali e l’impostura del matrimonio

Il matrimonio degli omosessuali è diventato uno dei terreni principali sul quale si polarizza il conflitto nelle società contemporanee.

Il problema delle coppie omosessuali verrebbe superato dall'affermazione dei diritti individuali delle persone
Il problema delle coppie omosessuali verrebbe superato dall'affermazione dei diritti individuali delle persone
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9 Luglio 2011 - 08.50


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Marco Pitzalis

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Il “matrimonio” degli omosessuali è diventato uno dei terreni principali sul quale si polarizza il conflitto nelle società contemporanee. Da una parte si schierano i progressisti, a sostegno delle rivendicazioni delle associazioni omosessuali, dall’altra i conservatori, a difesa di una pretesa famiglia naturale e della salvezza dell’ordine sociale. Immersi nel terreno di questo conflitto, non ho dubbi, l’estensione del diritto al matrimonio agli individui omosessuali si pone sul piano dell’uguaglianza di diritti. Se però analizzo, dal di fuori, questo stesso conflitto, nel suo complesso, allora emerge un dubbio o perlomeno una domanda. La discussione sul matrimonio degli omosessuali è effettivamente una battaglia progressista oppure di retroguardia e contiene elementi di carattere conservatore?

In un recente saggio, “L’abominevole diritto” (Saggiatore, 2011 – prefazione di Stefano Rodotà), Matteo Winkler e Gabriele Strazio pongono l’obiettivo dell’accesso all’istituto del matrimonio per le coppie di individui gay. Gli autori sostengono due tesi, la prima è che l’uguaglianza dei diritti degli omosessuali si gioca sul terreno del “diritto di famiglia”, l’altra è che il matrimonio – riprendendo le prescrizioni della Chiesa e di qualche gruppo di psicanalisti americani – permette di accedere ad una forma di vita superiore, in cui l’individuo trova felicità ed equilibrio. Il sogno del “Mulino Bianco”, insomma.

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Il diritto mette le brache al mondo. I cambiamenti nel diritto di famiglia hanno sancito, negli ultimi quaranta anni, la modificazione della struttura della famiglia e hanno legittimato e quindi rafforzato il riequilibrio sostanziale dei rapporti tra maschi e femmine, tra padri e figli. L’autorità maschile e paterna si è a poco a poco attenuata e la famiglia da verticale è divenuta sempre più orizzontale. Da autoritaria è diventata “democratica”. Ma la democratizzazione del diritto di famiglia è un segno di progresso? Il conflitto è cessato? È svanita la funzione repressiva e di controllo sociale?

Il diritto di famiglia, in verità, ha seguito (con grave ritardo) i cambiamenti sociali. Per esempio, la costituzione introdusse il principio della parità dei coniugi a partire dal I gennaio 1948 ma il codice civile venne adeguato soltanto nel 1975. Nel frattempo, la famiglia era già cambiata profondamente e dentro di essa i rapporti tra i membri. Mentre la società era già cambiata, le leggi dello Stato continuavano a esercitare ottusamente la loro forza repressiva e costrittiva, materiale e simbolica, sulla vita degli individui. Lo Stato, alla fin dei conti, ha reso, inutilmente, tante persone più infelici.

A poco a poco il mondo cambia. Continuamente. Inesorabilmente. Ciò che la morale di un’epoca considera inaccettabile, diventa senso comune per un’altra generazione. Ma quando il mondo cambia, una parte di questo cambiamento viene fatto proprio dalle leggi. Ciò che prima era un comportamento deviante diventa normale e conforme alle regole. Nuove regole però creano nuovi confini che creano nuovi outsider (marginali, devianti).

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Paradossalmente, la democratizzazione e l’adeguamento del diritto di famiglia non libera gli individui ma li costringe dentro un nuovo ordine definito dallo Stato. Uguaglianza dei diritti ma dentro la famiglia. Questo è il prezzo da pagare, mentre si spezzano le catene formali del dominio maschile. Ma la diseguaglianza si sposta all’esterno. In questo senso, il diritto serve a garantire i diritti di chi s’inchina allo Stato. E serve a definire i confini della devianza, indicare quali soggetti dovranno subire la repressione, in ragione del loro anticonformismo. La punizione (sancita da molte recenti sentenze) è che chi sta fuori dall’ordine della famiglia-stato è condannato a rinunciare ai diritti.

Il problema dunque è il controllo. Le riforme progressiste del diritto di famiglia finiscono per essere conservatrici nella misura in cui continuano ad imporre delle definizioni “legittime” di famiglia naturale.

Ogni riforma del diritto di famiglia, dunque, per quanto democratica, non potrà far altro che perpetuare questa impostura. Il problema non è dunque di cercare il cambiamento dentro lo schema del diritto di famiglia ma di rompere il velo di questa menzogna e ragionare sul diritto degli individui a decidere liberamente del loro patrimonio e dei propri rapporti di “comunanza” con altri individui.

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La proposta di matrimonio per gli omosessuali è una battaglia di retroguardia. Le organizzazioni degli omosessuali partecipano allegramente a questa impostura perché condividono con la Chiesa Cattolica questo redditizio terreno di scontro. Nella lotta, entrambi i contendenti brillano, reclutano e si impongono come campioni di una battaglia morale e sull’ordine morale.

Le associazioni degli omosessuali (come le chiese) sono il luogo dove si svolgono carriere morali. Cioè traiettorie attraverso le quali gli individui acquisiscono o costruiscono un’identità accettabile. L’outing (rendere pubblica la propria condizione omosessuale) in fondo è una conversione. L’outing contiene tutti gli elementi di una “rinascita”. Ecco perché le associazioni gay svolgono un ruolo fondamentale nella definizione dell’identità sociale degli omosessuali. In questo senso, gli attacchi esterni, in particolare da parte delle chiese, rafforzano il gruppo e la sua volontà di sopravvivere in un ambiente ostile. I movimenti omosessuali devono molto del loro successo alle gerarchie ecclesiastiche!

D’altra parte, la maggior parte delle chiese, oggi, ha bisogno dei movimenti gay. Questi sintetizzano in sé la ragione d’essere della chiese stesse, in quanto paladine del bene e della presunta integrità della società. I movimenti gay sono il nemico perfetto.

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Dal canto loro, le associazioni gay portano la battaglia sul piano del diritto di famiglia perché hanno bisogno di affermare la propria presenza politica in un campo di lotta dove si misurano le forze di opposti imprenditori di morale.

In realtà, il problema delle coppie omosessuali verrebbe facilmente superato dall’affermazione dei diritti individuali delle persone (in termini di adozioni o di eredità, per esempio). Invece, Chiesa cattolica e associazioni gay preferiscono questo comune terreno di lotta, sul quale si gioca la volontà di dominio della prima e la volontà di affermazione politica delle seconde.

In Italia, le famiglie “di fatto” eterosessuali e omosessuali sono svariate milioni. La società e la storia sono già più avanti. L’idea di ricondurre il problema della vita degli omosessuali nella nostra società al riconoscimento del diritto al matrimonio è un’idea conservatrice. E anche velleitaria. Non ho dubbi, la stragrande maggioranza degli individui che vivono relazioni familiari libere (omosessuali e eterosessuali) non saranno ricondotti dentro i confini tracciati dal diritto di famiglia. Quando se ne accorgeranno, si dovrà porre l’unico vero problema politico: quello dei diritti individuali.

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Diciamo la verità, la vera battaglia radicalmente democratica è quella per i diritti degli individui all’autodeterminazione.

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