di Claudia Sarritzu
“Quale Sardegna hai incontrato scrivendo il libro?” Me la fanno sempre questa domanda. Me la fanno e ogni volta mi spiazza, perché conosco bene la terra che vorrei raccontare, la conosco come un marito conosce la moglie di cui è innamorato da sempre, sta lì, è tutta la sua vita, eppure non riesce a chiuderla dentro un unico pensiero breve, conciso, efficace.
L’altra sera ho rivisto per la decima volta La Madre dell’Ucciso, di Francesco Ciusa che vinse il primo premio della Biennale di Venezia nel 1907. La nostra pietà. Così ho avuto un lampo, ci ho rivisto la dignità, il dolore, contenuto ed elaborato dell’Isola concreta e profonda che lotta. Questa donna vecchia e minuta, scalfita dal vento gelido del destino, ma che sta rannicchiata come una bimba agile che sa rialzarsi, è la Sardegna che i protagonisti del libro ci svelano, quella che non viene mai divulgata, quella che non urla per farsi sentire, che non chiede di essere salvata. Certo non esiste un dolore “sardo”. Il dolore è uno e funziona come il maestrale, che quando tocca le nostre coste, le nostre rocce, diventa “nostro”, non è urlato, non è pianto, è incastonato nei polmoni, è dignità e coraggio. In questa madre ho sempre apprezzato il suo restare salda, il suo consolarsi da se. Come se sapesse che nessuno potrà mai capire cosa “significa”, che a quello che di brutto ti capita devi pensarci da solo. Che quando arriva l’inferno ci sei tu a prenderti cura di te stesso, solo tu sai come ci si salva.
E’ esposta alla Galleria comunale d’arte di Cagliari, ne esistono cinque copie in bronzo, una delle quali è esposta alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Me la immagino sempre a un certo punto alzarsi e continuare a vivere, perché le donne sono capaci di far nascere i figli ma anche di vederli morire prima di loro, partoriscono e sopravvivono alle loro creature. In quella statua, un uomo, ha scolpito il carattere delle donne sarde: apparentemente foglie in autunno, dentro tronchi di quercia. Ecco la prossima volta che mi chiederanno: chi ho incontrato lottare con coraggio, mi farò aiutare da La Madre dell’Ucciso, di Francesco Ciusa. Perché il dolore composto ti schiaccia più di qualsiasi urlo, di spezza più di qualsiasi grido.
Ciusa raccontò « Ecco dove ho incontrato La Madre dell’Ucciso”, qui. Non ho avuto più pace, mi aveva preso la smania di raccontare quel silenzio del nostro tempo tragico, che abbiamo vissuto da soli. Quando lo dissi a Bustianu mi abbracciò. Quando la vide scolpita pianse. »
Ecco dove ho visto la Sardegna che racconto: qui. Non ho avuto più pace, mi aveva preso la smania di raccontare quel silenzio del nostro tempo tragico a cui ci avevano relegato, che abbiamo vissuto da soli. Quando raccontai della mia idea a chi aveva la mia età mi abbracciò. Quando lessero quelle parole di coraggio mi ringraziarono.
Prima o poi ci rialzeremo, come si è rialzata quella madre azzoppata.
Questo mi ha detto un operaio: “Prima o poi finirà anche questo, le cose brutte finiscono sempre, è il dopo, che va costruito, che ci deve preoccupare”.
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