Immaginate di dedicare la vita a scrivere un romanzo che quasi nessuno leggerà mai per intero, data la sua lunghezza e complessità. Un’opera in più volumi, naturalmente impubblicabile se non a vostre spese. In tal senso, non si può dire che Marcel Proust mancasse di coraggio investendo il meglio di sé nei sette volumi di Alla ricerca del tempo perduto, che poi si è rivelato uno dei capolavori della letteratura universale. In ogni caso, per folle che fosse il suo intento, il frutto delle fatiche di Proust era comunque un romanzo. Parole, capitoli, carta. Ora immaginate di dedicare la vita a produrre qualcosa di bizzarra complessità senza alcun fine, mantenendo segreti i vostri intenti e soprattutto accettando che nessuno capirà mai la natura della vostra opera. Si tratterebbe di pura follia? Di arte? Ebbene, qualcuno l’ha fatto.
L’INCONTRO CON L’ATOMIUMIl protagonista di questa storia è un certo Franz Gsellmann, un agricoltore nato a Edelsbach, in Stiria, una regione dell’Austria. Diciamo subito che questo signore non aveva alcuna competenza scientifica, ma solo una grande passione per tutto quanto fosse connesso con l’elettricità. Si dice che sognasse di fare l’ingegnere, ma purtroppo si accontentò di mandare avanti la fattoria di famiglia. A un certo punto, tuttavia, Gsellmann fece l’incontro che gli avrebbe cambiato la vita: vide l’Atomium. Siamo nel 1958, durante l’Esposizione Universale di Bruxelles. L’Atomium, realizzato in occasione dell’evento, è il celebre monumento in acciaio alto un centinaio di metri che rappresenta gli atomi di un cristallo di ferro. Gsellmann tornò a casa con un modellino del monumento. Possiamo solo immaginare i suoi pensieri, siccome non ne fece parola con nessuno. Tra lo stupore dei famigliari, svuotò una stanza della fattoria, ci sistemò in mezzo il piccolo Atomium come fosse un cuore pulsante, e cominciò a costruirci attorno un mondo, pezzo dopo pezzo.
LA MACCHINA “MOTORE DEL MONDO”La creatura meccanica di Gsellmann, nel tempo, ha riempito la stanza. È formata da migliaia di pezzi che l’eccentrico inventore andava a pescare dagli sfasciacarrozze, nei mercatini, dai rigattieri, assemblando via via la macchina secondo una logica tutt’altro che evidente. L’opera contiene, ad esempio, l’elica di una nave, un barometro, diverse campane, una statua di vetro di Gesù e Maria, uno xilofono, dei crocifissi, il logo della Mercedes, dei fischietti per uccelli, un mulino a vento olandese, un’aquila di porcellana e moltissimo altro, il tutto tenuto insieme da un reticolo di fili elettrici, ruote dentate, cinghie di trasmissione e centinaia di luci colorate. La macchina, ovviamente, funziona. Nel senso che, una volta accesa, i suoi 25 motori azionano le varie parti che prendono a ruotare, le luci si accendono, i campanelli e i fischietti suonano. Il Motore del Mondo, dopo la morte di Gsellmann, è diventato un’attrazione turistica e ogni anno 10.000 persone visitano la fattoria per vederlo.
SÌ, MA PERCHÉ L’HA FATTO?Ecco, bella domanda. E ritorniamo all’inizio di questa storia incredibile che ha per protagonista un genio o un pazzoide. Il perché Gsellmann non lo rivelò. A un certo punto, dopo 23 anni di lavoro, ritenne terminata l’opera. Secondo alcuni è un’accozzaglia di rottami ammassati a caso, secondo altri si tratta di arte cinetica. Più umilmente, accontentiamoci di non comprenderne il meccanismo di fondo. Di certo molti visitatori restano turbati tanto dall’impegno di Gsellmann, quanto dalla misteriosa armonia di suoni, luci e movimenti che animano la macchina. È forse come il nostro Universo, se lo guardassimo da fuori con gli occhi di un bambino, aperti solo allo stupore. Irrazionale e gratuito, eppure si muove. Una volta cresciuti ci chiederemmo come funziona, chi l’ha fatto e perché; magari anche la via per ripararlo, mettendo insieme quella che si chiama scienza. Ma proprio come per il nostro universo il signor Gsellmann, morto nel 1981, non ha lasciato scritto un progetto del Motore del Mondo, né le indicazioni per aggiustarlo, se per distrazione o incuria ci capitasse di romperlo.
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