Largo alla “bellezza etica”. È quella che è sfilata in passarella ieri sera. Una “serata particolare di moda”, mista a imprenditorialità e sensibilità sociale, nella suggestiva cornice di Villa Emo di Fanzolo in provincia di Treviso. Nel gioiello architettonico di Andrea Palladio è andata in scena “Altro modo, Altra moda”, una manifestazione di “eleganza e imprenditoria sociale” che ha visto sfilare gioielli, accessori e abiti disegnati da una serie di cooperative che operano nell’ambito del disagio, del reinserimento femminile e della disabilità.
La serata, configurata come creazione di un “network della bellezza etica”, è nata all’interno di un progetto sviluppato e sostenuto dalla Regione Veneto e da Unioncamere, per “permettere la creazione di rapporti di attenzione e di business, tra mondo delle cooperative sociali e imprese dal brand affermato nel settore della bellezza e dell’eleganza”, spiegano i promotori.
L’iniziativa a Villa Emo si è aperta con un dibattito tra esponenti del mondo della moda, del tessile e della cooperazione, delle istituzioni (era presente Silvia Rizzotto, consigliere regionale e capogruppo della Lista Zaia in Regione), tutti concordi nel sottolineare come oggi più che mai le relazioni tra profit e no-profit possono essere di profondo e sostanziale interscambio. “Il dualismo tra profit e no profit ormai non è più attuale ed è superato nei fatti”, ha sottolineato Chiara Mio, docente di management all’Universita’ Ca Foscari di Venezia e presidente della Banca popolare Friul-Adria.
“Sono proprio i valori di riferimento ad essere ormai interconnessi: le cooperative hanno ormai il dovere di pensarsi come aziende, mentre le imprese profit sanno di doversi relazionare al mondo esprimendo valori etici riconosciuti e condivisibili da tutti i consumatori”, ha aggiunto Mio. Un’analisi confermata anche da Sara Bellini (direttore marketing gruppo moda Belmonte) e dagli operatori delle cooperative, come hanno confermato Paola Salmaso (della coop Esfaira che integra il profit nel non profit) e il veronese Matteo Zamboni, della cooperativa Quid, dove donne che vivono con vari tipi di fragilità operano e realizzano capi con tessuti di alta qualità: “Noi abbiamo deciso di affrontare i temi del design e della moda alzando al massimo il profilo della nostra produzione, coinvolgendo i migliori giovani creativi italiani ed europei per puntare ad un prodotto che sappia rimanere sul mercato fuoriuscendo dalla logica della pura solidarietà sociale”.
Discorsi confermati dal defile’e che ha fatto vedere e toccare con mano l’alta qualità produttiva delle cooperative: 15 modelle hanno portato sulla scalinata palladiana le creazione delle coop sociali; ovvero: abiti classici, con profusione di seta per le occasioni da sera; tessuti freschi per il casual-chic; velluti e lino per le occasioni più spigliate; accessori indossabili di pelle e di legno, oppure di gioielleria alternativa o a telaio. E il pubblico ha applaudito, in modo “forte e partecipato”, sottolineano gli organizzatori dell’evento.
Soddisfazione forte anche per i protagonisti. Eloquenti in questo senso le partole di Annalisa Chiaranda, responsabile della cooperativa “Il Cerchio” dove operano donne della casa circondariale della Giudecca a Venezia, emozionatissima ha infatti affermato: “Quando noi portiamo i migliori tessuti in carcere, vediamo come si risveglia il senso della bellezza nelle donne che vivono in quella dimensione. Il bello crea positività. Stasera è un po’ triste non poter avere avuto qui tra noi le nostre ‘sarte’, ma è bellissimo vedere come il loro lavoro sia stato apprezzato e applaudito”.