La differenza tra intellettuali e opinionisti in questa Italia così confusa

Sempre più difficile parlare una lingua umana mentre i media e i social vengono trasformati in un ring. Eppure avremmo così bisogno di bussole, di etica, di un po' di saggezza

Una celebre immagine di Steve Schapiro, 1966
Una celebre immagine di Steve Schapiro, 1966
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8 Giugno 2018 - 17.52


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Dove sono gli intellettuali?

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Leggo sempre più spesso sui social post e commenti indignatissimi che gridano, spesso anche selvaggiamente quando non sussurrano con il garbo ipocrita del morigerato distaccato e fatalista, alla perdita degli intellettuali.

Dove sono, cosa fanno, perché non parlano gli intellettuali? Perché non si lagnano, perché non si uniscono al coro dei matti o a quello dei rabbiosi figli della propaganda squadrista, perché non si strappano i capelli, non ci dicono cosa sanno, perché non fanno la rivoluzione?

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Sono tutte domande legittime, ma appartengono ad un altro tempo, un tempo che è stato fatto a pezzi dagli stessi che oggi commentano indignatissimi e fatalisti.

Nessuno, però, nessuno si chiede mai in questi post perché e come mai oggi sono il qualunquismo e la sua volgarità ad essere un’unica voce possibile. Perché non ammettiamo che se cerchiamo gli intellettuali, quelli onesti sempre, allora dobbiamo cercare nei cimiteri dove possiamo piangerli soltanto?

Oggi ci sono gli opinionisti, sono un’altra razza. Gli opinionisti che devono parlare per parlare, discutere per discutere. Mettersi in mostra e farsi notare, nel bene e nel male, questo è lo statuto teleologico dell’opinionista. Non dico etico volontariamente: gli opinionisti non sanno cos’è l’etica. Non esiste margine, orizzonte (seppure sfocato) di certezza culturale: oggi siamo terribilmente ignoranti. Sappiamo benissimo di non sapere, ma questo ci rende impermeabili, refrattari. La cultura sta nelle mani di pochi, rabbiosi e astiosi detentori che si contano, si lisciano reciprocamente il pelo e continuano a precipitare inesorabilmente nel baratro ignorante che scavano quotidianamente. Il problema, però, è che questo baratro si allarga a dismisura e trascina con sé tutte le categorie sociali.

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Non chiedete agli intellettuali dove sono, gli intellettuali sono morti e anche se vi rispondessero non li capireste, oggi non parlate più la lingua umana di cui furono testimoni loro.

Tanto più che li avete coperti di insulti, li avete fatti finire alienati e soli, quando erano qui quegli stessi intellettuali che adesso invocate e accusate di stare in silenzio.

Chiedetevi dove siete voi: perché non fate autoanalisi (individuale e di classe) e perché non avete il coraggio di sfidare la vostra ignoranza, di sapere con amore e passione cosa vi sta accadendo.

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Oggi è la rabbia che muove il mondo, la rabbia che ci illude e che ci persuade ad annullare la nostra coscienza perché è più comoda la proposta di un unico pensiero, come se un’unica mente possa davvero governare e tenere a bada le coscienze di tutti e questo possa essere anche un bene.

Cosa direbbe un intellettuale oggi? Direbbe molto, forse perfino troppo, e sicuramente non delegherebbe ad un post sui social la discussione, l’incontro, l’autoanalisi (collettiva e di classe). Non è con un post sui social che vanno cercati gli intellettuali. Non è con il potere rassicurante di pochi, non è con l’ignoranza, non è con la violenza, nella rabbia e nel rifiuto. Non è con la rinuncia al coraggio di cercare la verità e di credere che anche il privato sia politico che un intellettuale può dirsi tale.

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