Può un videogioco scatenare una polemica politica? Certamente, sono lontani i giorni in cui si prendeva un controller in mano solo per passare qualche ora spensierata. Oggi parliamo di un medium a tutti gli effetti, utile a esprimere idee di qualsiasi tipo, come i libri o i film. Il contesto in cui è stato presentato Little Antifa Novel, però, non è andato giù al consigliere leghista di Pavia Matteo Mognaschi, che ha infatti dichiarato a Motherboard:
“A Pavia, nell’ambito di una manifestazione patrocinata dal Comune, è stato presentato un videogioco inerente una manifestazione non autorizzata di ‘antifascisti’ (di fine 2016, che ha visto la presenza del sindaco) […] Trovo questa cosa assolutamente grave, perché legittima un comportamento illegale in un contesto istituzionale come è una manifestazione patrocinata e rivolta ad un pubblico di ragazzi.”
Cos’è, in sostanza Little Antifa Novel? L’abbiamo provato (è disponibile gratuitamente sul web) e si tratta di un videogioco in senso lato. Non a caso l’autore, Mauro Vanetti, lo definisce un “ludovolantino”, in cui vengono narrati, ovviamente dal punto di vista di Vanetti, gli avvenimenti che hanno portato agli scontri tra militanti di CasaPound, gli appartenenti al circolo ARCI Radio Aut e la polizia il 5 novembre 2016 a Pavia. All’utente, con uno stile analogo a quello dei “libro game”, vengono presentati i dialoghi tra i militanti del circolo ARCI e gli viene richiesto di scegliere come procedere a ogni bivio narrativo. Si può scegliere un approccio puramente ideologico o di puntare in maniera più decisa su una strategia più conflittuale, portando le proprie idee in piazza e finendo per arrivare allo scontro fisico tra le due fazioni e/o la polizia.
Mognaschi è promotore di un’interrogazione sulla vicenda, ma la risposta non si è fatta attendere, sotto forma di un lungo messaggio che Mauro Vanetti (laureato con una tesi sull’Intelligenza Artificiale e già autore di un videogioco, Two Interviewees, basato sulla discriminazione delle lavoratrici) ha inviato al consiglio comunale e pubblicato su Facebook. Tra le altre cose, Vanetti scrive:
“… si terrà un processo proprio per stabilire se si sia trattato di una cosiddetta “manifestazione non autorizzata” (in Italia le manifestazioni pubbliche senz’armi non richiedono autorizzazione di polizia). […] Il 5 novembre 2016 ero in piazza: non ho attaccato la polizia e non ho incoraggiato nessuno a farlo. […] Trovo dunque curiosa l’accusa di promuovere una certa condotta nella rivisitazione virtuale degli stessi eventi; è una concezione che mi ricorda Rapporto di minoranza di Dick o gli psicoreati di cui parlava Orwell in 1984: delitti commessi pur non commettendoli.”
Insomma, Vanetti utilizza il videogioco come medium per raccontare il suo punto di vista su avvenimenti realmente accaduti, e per stimolare l’utente a prendere decisioni per vedere quali avrebbero potuto essere le conseguenze di ogni azione. Dinamiche tipiche di ogni videogioco moderno, in fondo, solo che qui si tratta di affrontare argomenti che, per forza di cose, sono portati a dividere. È il destino di ogni opera di ingegno, sia essa un quadro, un libro, un film o – appunto – un videogioco che vada a toccare argomenti controversi.
Del resto, è già da molti anni che il videogioco è stato sdoganato dal suo ruolo originale, quello del divertimento puro e semplice: grazie alla sempre più vasta diffusione di computer, console, smartphone e tablet, l’interattività è diventata parte del nostro quotidiano, e con essa il videogioco come mezzo espressivo a trecentosessanta gradi.
Un medium, appunto, capace di comunicare idee, creative e non, di qualsiasi genere: dai colorati affreschi su cui Super Mario si trova a ballonzolare, alla greve rappresentazione dell’orrore della guerra vista in Valiant Hearts, dalle delicatissime e poetiche atmosfere dei giochi di Fumito Ueda o Jenova Chen alle chiassose sparatorie che coinvolgono Nathan Drake e Lara Croft. Ma anche idee più trasversali, forse inconsuete, e certamente politiche.
Il videogioco è un medium che si proietta verso una maturità sempre più spinta, seguito da un numero sempre maggiore di adulti e accompagnato da un sistema di certificazione che indica con chiarezza i contenuti che ogni prodotto mostra sullo schermo. Il contenitore, insomma, è maturo: ben venga qualsiasi discussione, anche accesa, sui contenuti, ma già da molto tempo non è più il caso di relegare ogni polemica al concetto del videogioco come un prodotto unicamente “per ragazzi”.