Oggi, 2 dicembre, è la Giornata Mondiale contro la schiavitù, una piaga che ancora infetta il mondo nonostante siano passati 70 anni dalla votazione nell’Assemblea generale dell’Onu, di un accordo per stabilire la fine dello schiavismo e di altre pratiche lesive della dignità umana. La Convenzione è entrata in vigore nel 1951 e ad oggi sono 82 paesi vi hanno aderito. Tra le pratiche bandite dalla Convenzione vi sono il lavoro forzato, specie di bambini e ragazzi, ma anche la servitù per debiti, i matrimoni forzati, il traffico di esseri umani, lo sfruttamento sessuale, il reclutamento di minori nei conflitti armati.
Nel mondo vivono ancora 40 milioni di schiavi, di 25 milioni condannate al lavoro forzato, che fruttano un giro d’affari da 150mila miliardi di dollari. I matrimoni forzati sono ancora in tutto il mondo 15 milioni e i bambini ridotti in schiavitù sono 150 milioni. E si tratta di stime in difetto, dato che non si ha una traccia del fenomeno, che è diluito in tante forme diverse.
A farne le spese principali sono come al solito le donne: il 70% di tutti gli schiavi sessuali al mondo (la seconda più alta percentuale riguarda i minori) sono donne sfruttate dall’industria del sesso.
Lo schiavismo moderno è praticato soprattutto in Africa, seguita dall’Asia. I paesi più schiavisti al mondo sono Nord Corea, Eritrea, Burundi, Repubblica centrafricana, Afghanistan, Mauritania, Sud Suda, Pakistan, Cambogia e Iran.
Infine, un capitolo a parte è dedicato alla tratta degli esseri umani e alla vendita di organi: la povertà estrema spinge milioni di persone a vendere spesso i propri reni oppure a sacrificarsi per mantenere la famiglia. Il fenomeno è particolarmente diffuso in India e gli organi sono venduti principalmente in Sri Lanka, nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in altri paesi ‘civili’.