Condizionatori e coronavirus, Burioni: "I flussi d'aria possono trasportare il virus"

Il virologo spiega: "la distanza e l'attenzione ai flussi d'aria saranno i due elementi ai quali ci dovremo affidare per la protezione contro l'infezione quando tenteremo di riprendere"

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27 Aprile 2020 - 14.35


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Ancora due versioni diverse, ancora due diverse verità scientifiche per un pubblico sepre più confuso. Contraddicendo di fatto quanto detto in precedenza da altri scienziati, Roberto Burioni ha affermato che “la distanza e l’attenzione ai flussi d’aria saranno i due elementi ai quali ci dovremo affidare per la protezione contro l’infezione quando tenteremo di riprendere la nostra vita normale”. Sul uo portale ‘Medical Facts’ parte da un caso di contagio avvenuto in Cina in un ristorante di Guangzhou, ex Canton, per spiegare “come alcuni semplici dettagli possano fare la differenza” quando inizierà a scorrere l”agenda della ripresa’.
“È il 23 gennaio e una famiglia parte da Wuhan, dov’è cominciata l’epidemia, per andare a Guangzhou”, racconta Burioni. “Tutti stanno bene e il giorno dopo vanno a pranzo in un bel ristorante”, sedendosi in una sala di 145 metri quadrati dove ci sono altri 14 tavoli per un totale di 83 commensali e 8 camerieri. La sera stessa uno dei familiari si sente male, va all’ospedale e riceve la diagnosi: Covid-19. “Le autorità si muovono immediatamente, identificano tutte le persone che erano presenti nella sala” del ristorante “e le mettono in isolamento. Nei giorni successivi alcune persone sedute nello stesso tavolo del malato si ammalano”, però se ne ammalano anche altre di due famiglie diverse, sedute nei due tavoli vicini e “lontane più di un metro dal paziente infettato”.
Gli epidemiologi cinesi hanno stimato che una delle due famiglie è stata al ristorante contemporaneamente a quella ‘untrice’ per 53 minuti, l’altra per 73. Non solo. “La sala viene esaminata con attenzione e ci si accorge che i getti dei condizionatori creano forti correnti d’aria”. Ed “ecco il motivo per cui la trasmissione è avvenuta a distanza superiore di un metro”: le goccioline di saliva del commensale che si sarebbe ammalato “sono state sospinte dal getto del condizionatore e sono arrivate più lontano. Certo c’è voluto molto tempo, un’ora o più”, quindi “verrebbe da dire che per essere contagiati ci vuole una vicinanza prolungata e magari l’aiuto di una corrente d’aria”.
Ebbene, per Burioni “nel momento in cui ci accingiamo a riaprire ristoranti, bar e uffici dobbiamo ben tenere presente quanto è successo, che non ha solo aspetti negativi. È vero che persone dei tavoli vicini, colpiti dalla corrente d’aria generata dal condizionatore, sono state infettate a distanze maggiori” e “questo deve portare a particolare cautela nella disposizione dei tavoli e nel loro distanziamento – suggerisce il virologo – specie in presenza di forti correnti d’aria dovute a condizionatori, ventilatori o qualunque altra cosa. Però è vera anche un’altra cosa: in quella sala hanno pranzato insieme al paziente 82 persone: 9 sono state infettate (a riprova che un singolo paziente può essere molto contagioso), ma gli altri 72 commensali e soprattutto gli 8 camerieri, che certamente hanno servito anche il paziente infetto, non hanno contratto il virus”.
In altre parole, conclude Burioni, “non sappiamo se l’uso delle mascherine avrebbe potuto diminuire la contagiosità” del cliente malato, “ma d’altra parte le mascherine nel ristorante non si possono portare, altrimenti non si riesce a mangiare”. 

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