Durante il primo lockdown, l’Italia divenne il centro del mondo. Fummo colpiti per primi dalla pandemia e attirammo su di noi gli sguardi apprensivi di tutti gli abitanti del pianeta Terra. Tutti ci guardavano con il fiato sospeso. Tutti partecipavano alla nostra disgrazia. Tutti facevano il tifo per noi.
Tutti gli italiani prima di tutti. Compatti come non mai. Nonostante un sistema sanitario che faceva acqua da tutte le parti, nonostante i medici che morivano come mosche, nonostante le sfilate di bare, nonostante il panico. Cantavamo insieme sui balconi e alle finestre, condividevamo la prigionia, condividevamo la paura, condividevamo il dolore, condividevamo la morte degli altri, condividevamo momento per momento la terribile realtà che si era abbattuta su di noi, condividevamo il cibo e la speranza. E tutto il resto del mondo condivideva l’ammirazione per il nostro esempio.
Noi italiani siamo drasticamente cambiati da allora. Tranne il personale sanitario che continua a lavorare senza sosta e a morire sul fronte nella nostra indifferenza, oggi noi camminiamo tutti in ordine sparso, protestiamo tutti per qualcosa, pensiamo tutti soltanto a noi stessi. Abbiamo fatto l’abitudine ai nostri contagi e ai nostri morti, che sono ogni giorno tra i più alti nel mondo, assediamo i centri commerciali alla spasmodica ricerca di regali superflui, e ci apprestiamo con largo anticipo e con ansia febbrile al Natale. Dimenticando che il Natale porta con se’ qualcosa di tremendo. L’obbligo della felicità. La felicità ad ogni costo, anche per chi non ha di che sfamarsi né un tetto sulla testa. Può essere la festa più ingiusta di tutte il Natale, e lo è sempre stata per molti, per troppi.
Se continuiamo a comportarci così, trasformeremo questo Natale nel giorno più infausto della nostra vita.
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