5 gennaio 2021. Mancavano poche ore al tentativo di golpe negli Stati Uniti quando il più stretto collaboratore di Donald Trump, Steve Bannon, intervistava l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, il prelato che ha chiesto le dimissioni di Papa Francesco: “Sarebbe una irreparabile sciagura se Joe Biden, sul quale gravano pesanti sospetti di essere complice della dittatura cinese, dovesse venire designato alla Presidenza degli Stati Uniti. […] Al di là dello schieramento politico, dobbiamo inoltre capire che – soprattutto in una situazione complessa come quella attuale – è indispensabile che la vittoria del futuro Presidente sia garantita nella sua assoluta regolarità, fugando ogni sospetto di brogli e prendendo atto delle prove schiaccianti, emerse in alcuni stati. Un Presidente proclamato tale dai media mainstream affiliati al deep state lo priva di ogni legittimità ed espone la Nazione a pericolose interferenze straniere, peraltro già provate nelle presenti elezioni. […] Invito quindi i politici, al di là della loro appartenenza politica, a farsi paladini della Verità, a difenderla come tesoro irrinunciabile che solo può garantire credibilità alle Istituzioni e autorevolezza ai rappresentanti del popolo, in coerenza con il loro mandato, con quanto hanno giurato e con la loro responsabilità morale dinanzi a Dio. Ciascuno di noi ha un ruolo che la Provvidenza gli ha affidato e al quale sarebbe colpevole sottrarsi. Se gli Stati Uniti perdono questa occasione, adesso, saranno cancellati dalla Storia. Se consentiranno che si insinui nelle masse l’idea che il verdetto elettorale dei cittadini, prima espressione della democrazia, possa esser manipolato e vanificato, essi saranno complici della frode e meriteranno l’esecrazione del mondo intero, che all’America guarda come ad una nazione che ha conquistato e difeso la propria libertà”.
Questa è la voce più nota di quel pezzo di cattolicesimo che si oppone a Francesco e che sostiene Trump. Mentre alla Casa Bianca si preparava il tentativo di golpe alcuni vescovi discutevano della necessità di negare a Joe Biden, cattolico, l’accesso al sacramento della comunione perché favorevole alla legislazione sull’aborto. Il cardinale Raymond Burke, uno dei quattro porporati più pubblicamente critici del papa, lo ha sostenuto e affermato anche durante la campagna elettorale, e dopo la vittoria di Biden vescovi molto conosciuti hanno tentato di imporre questa linea anche se la Chiesa in materia si è pronunciata, demandando al vescovo competente la decisione: e in questo caso il vescovo di Washington aveva già detto che lui avrebbe consentito a Biden di comunicarsi. Dunque oggi per questa parte di episcopato è in discussione il cattolicesimo di Biden, non il cristianesimo di Trump.
Per questo non sorprende proprio che il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, abbia affermato in un’intervista all’Adn Kronos: “La Chiesa americana ha un ruolo importante in questo momento. Si deve esprimere in modo duplice: condannando apertamente la violenza e i semi di odio che hanno portato a questa violenza e lavorare per la riconciliazione nazionale. Ma si è visto poco finora, la reazione sino ad ora sembra tiepida e penso sia importante che, passata l’emergenza e lo scontro, ci sia un momento di riflessione importante che coinvolga la Chiesa e i cristiani che sono a loro volta divisi sulle dinamiche democratiche. La Chiesa deve essere fermento di riconciliazione”.
La questione in ballo è enorme. Non è stato sufficientemente notato che la giornata del 6 gennaio a Washington è cominciata con l’irruzione di un gruppo di facinorosi di Trump nel mezzo della cerimonia tra esponenti di diverse Chiese davanti al Luther Place Memorial Church che pregavano contro la violenza e il razzismo. Conquistando il centro della scena uno di loro ha finto di cadere per terra e un altro gli ha posto il ginocchio sulla gola, mimando la tragica scena dell’assassinio di George Floyd l’anno scorso. Successivamente hanno ripetuto indisturbati la stessa scena in mezzo alla strada. Quando il loro gruppo, i Proud Boys, è arrivato davanti a Capitol Hill, è stato accolto dai presenti al grido di “guerrieri di Dio”.
Quando i facinorosi hanno poi violato Capitol Hill, come rilevato prontamente dal National Catholic Reporter, era ben visibile una bandiera bianca con una croce nell’angolo: la “bandiera cristiana”. E quando gli insorti hanno conquistato il tetto dell’edificio è stato disteso un enorme striscione con su scritto: “Jesus 2020”.
Tutto questo pone l’enorme questione posta da Papa Francesco nel febbraio del 2016, quindi prima dell’inizio della presidenza Trump: “una persona che pensa solo a fare muri, e non ponti, non è cristiana”.
Trump al tempo era in corsa per la nomination repubblicana e le parole del papa sembrarono rispondere allo specifico della questione posta, il muro tra Stati Uniti e Messico. In realtà il papa coglieva quella polarizzazione politica che avrebbe portato Trump fino a spaccare le opinioni pubbliche, a seminare divisioni sempre più profonde nel corpo di ogni società, a cominciare dalla sua, fino al tentativo di golpe del 6 gennaio. Infatti nella sua intervista padre Spadaro afferma: “ Che cosa ha impedito alla democrazia di muoversi in maniera libera e ordinata? Probabilmente andrà analizzato il senso degli eventi e anche dei semi di odio messi nel discorso politico americano di recente e quindi certamente quello che è avvenuto rappresenta un monito per le democrazie, soprattutto per quelle che aizzano la gente e che coltivano prospettive o immaginazioni legate a nazionalismi e fondamentalismi e a tutto quello che divide le società piuttosto che unirle”. Ecco perché l’Osservatore Romano scrive che “ L’insurrezione di ieri fa capire inoltre che il trumpismo è destinato a lasciare un solco profondo nella scena politica a stelle e strisce. Quanto meno è destinato a cambiare gli equilibri all’interno del partito repubblicano, che potrebbe essere costretto a una scissione. Il Paese è profondamente diviso, ma, in realtà, non più di quanto lo fosse prima. Trump è riuscito però ad addensare intorno a sé e a dare cittadinanza a una galassia di movimenti che in precedenza avevano poca visibilità e che difficilmente rinunceranno a far sentire la loro voce nel prossimo futuro”.
Non sono le divisioni la novità, è la polarizzazione! Da tempo è invalso un modo di dire che indica il problema: il partito repubblicano viene chiamato “il partito di Dio”, perché le voci delle Chiese vi riverberano più facilmente. Le spinte al radicalismo liberal nel campo democratico ovviamente hanno acuito questa tendenza e le spinte all’integralismo religioso hanno fatto altrettanto. Ora con Trump, che ha dato peso a gruppi estremi come i Proud Boys, un’agenda sempre più intrisa d’odio (non solo verso i migranti) ha fatto vedere come anche questo partito potesse prendere la via fanatica e quindi incompatibile con la democrazia. Così si capisce perché lo sforzo che indica padre Spadaro è essenziale per ridefinire un’agenda sociale cristiana, ma anche una vera coesione sociale, non solo in America.
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