di Antonello Sette
Chi, come lei, e prima suo padre, è da sempre pacifista, credo viva un momento di frustrazione e di impotenza, quando uno Stato, che fa della sua potenza un vanto, aggredisce uno Stato manifestamente più debole, che vede calpestato dai. carri armati il suo diritto a difendersi?
L’impotenza assoluta fa seguito all’inerzia – dice a Spay news -. Esiste perché non si è fatto prima nulla per evitare quello che accade. Poi, quando scoppia una guerra, si chiede ai pacifisti: “Ora che piovono le bombe, che si fa?”. Una costante di tutte le guerre. Il punto è che i pacifisti, i non violenti e i disarmisti il “come si fa” lo dicono tutto l’anno. Si fa cambiando il sistema. Si fa rivedendo completamente il modo di vivere insieme. Si fa usando la diplomazia e ogni altro strumento possibile per evitare che si arrivi alla guerra. Poi, naturalmente, quando la guerra scoppia e cadono le bombe, chi ci sta sotto sente il bisogno di rispondere nello stesso modo. In tutte le guerre arriva un punto in cui si dice “è inevitabile”. La verità è che le guerre diventano inevitabili perché prima si è fatto troppo poco per evitarle.
Secondo lei, quindi, dietro la quasi unanime solidarietà al popolo aggredito, ci sono cattiva coscienza e ipocrisia?
C’è da prendere atto del fatto che va rivisto un intero sistema. E’ un po’ come quando si diceva: “C’è l’Isis che sta seminando il terrore in Iraq. Cari pacifisti, adesso che si fa? Adesso ci dobbiamo difendere”. I pacifisti avevamo denunciato prima la situazione in cui ci si sarebbe trovati. Sarebbe stato il caso, ora come allora, di evitare di arrivare sino a quel punto. Più che di ipocrisia, bisognerebbe parlare della necessità di lavorare ogni giorno per costruire la pace. La pace si costruisce non solo con la diplomazia, ma anche con la pratica dei diritti e con la tolleranza zero ogni volta che i diritti vengano violati. E’ questo il modo per non ritrovarsi impotenti a vedere in tv la caduta delle bombe.
Crede alla forza delle sanzioni?
Sì. Le sanzioni sono uno strumento non violento a disposizione della diplomazia. Poi bisognerà vedere che cosa si farà in concreto per farle rispettare.
In questi giorni si è immedesimata nelle donne e negli uomini ucraini, che vedono e sentono le bombe minacciare le loro case e la loro vita?
Nessuno di noi, se non è mai vissuto sotto le bombe, riesce davvero a immedesimarsi. Io ho passato parte del mio tempo in Paesi in guerra, con la gente che cercava di capire se quella esplosione fosse lontana o vicina e che cosa, conseguentemente, dovesse fare. Però, ho sempre avuto in tasca il mio passaporto, che mi consentiva di andar via in qualsiasi momento. Nessuno può capire veramente una sofferenza fin quando non la tocca con mano. Questa mattina ero al telefono con mia zia, che ha ottanta anni. Si è messa a piangere perché ieri aveva sentire in televisione le sirene e aveva ripensato alla sua infanzia. A quando a Sesto San Giovanni scendeva precipitosamente in cantina con tutta la famiglia, ogni volta che suonava l’allarme aereo. La guerra i nostri nonni la capiscono molto meglio di noi.