Matteo Zuppi: prete di strada e prete del mondo, missionario di pace contro ogni odio

Un tratto che contraddistingue l’impegno di Zuppi è quello a favore per la pace. Impressionante era la caparbietà con la quale nel ’92 si impegnò per mettere fine al conflitto civile in Mozambico.

Matteo Zuppi: prete di strada e prete del mondo,  missionario di pace contro ogni odio
don Matteo Zuppi
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25 Maggio 2022 - 09.42


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di Antonio Salvati

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Conosco don Matteo dal 1980, quando iniziai a muovere i miei primi passi nella Comunità di Sant’Egidio. Non era ancora prete. Lo sarebbe diventato da lì a poco, nel 1981. Fin dall’inizio lo ricordo con il sorriso e ancora adesso – quando lo rivedo, di passaggio a Roma o in altre circostanze – è sempre con il sorriso. Verrebbe da dire che don Matteo possiede quell’affabilità straordinaria – e soprattutto evangelica – che gli consente di dimostrare anche fisicamente la felicità di incontrare le persone. Quando fu nominato arcivescovo di Bologna, giustamente Andrea Riccardi disse: «saprà camminare tra la gente, non solo un prete di strada ma un prete del mondo».

Inevitabilmente alcuni già si cimentano a fare confronti con il predecessore o con altri predecessori che tanta parte attiva hanno avuto nella vita politica, sociale e culturale del nostro paese. Come non pensare alla lunga presidenza del cardinal Ruini, assiduamente impegnato a perseguire strategie – qualcuno ha coniato il termine ruinismo – che ponessero il problema degli strumenti con i quali garantire al cattolicesimo italiano di poter continuare a rivestire quella rilevanza pubblica, avuta nel passato, che era l’obiettivo di fondo del capo dei vescovi italiani. Non credo che Zuppi si porrà il problema della continuità con questo o quel predecessore. Non credo vorrà rappresentare la rottura con il passato, ma la prosecuzione di un messaggio. Né tanto meno credo ha in testa un progetto preciso. Chi conosce bene don Matteo sa che a lui piace camminare insieme ai fedeli e con loro affrontare le difficoltà con la consapevolezza che l’uomo pur nella sua vulnerabilità può trovare la forza in Dio.

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Certamente un tratto che contraddistingue l’impegno di Zuppi è quello a favore per la pace. Impressionante era la caparbietà con la quale nel ’92 si impegnò per mettere fine al conflitto civile in Mozambico. Dal 1990 al 1992, giovanissimo, insieme ad alcuni amici di Sant’Egidio, ero impegnato nell’accoglienza materiale alle delegazioni del governo e della guerriglia mozambicana riunitesi a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio per trovare un accordo di pace. In tanti eravamo colpiti di come Zuppi riusciva a tenere insieme tutto quello che poteva unire e ad allontanare ciò che divideva, seguendo il noto insegnamento di papa Giovanni XXIII. Me lo ricordo alle prese con il telex – prima ancora che fossero disponibili sistemi di connessione telefonica automatica a lunga distanza, in molte dell’Africa si utilizzavano soltanto collegamenti telex – per comunicare con la leadership della guerriglia mozambicana insediatasi nel bosco.

Sono certo che, in sintonia con il pontificato di Papa Francesco, continuerà a battersi per l’affermazione della pace e per contrastare l’ascesa dei nazionalismi e dell’odio. Più volte Zuppi ha messo in guardia sull’enfasi delle frontiere che troppo in comune hanno con le ossessioni dei nazionalismi che hanno avvelenato il secolo scorso con due guerre mondiali e il paganesimo della superiorità della razza. Avverte Zuppi – in un suo recentissimo e fortunato libro Odierai il prossimo tuo – che «l’odio, oggi, è un arsenale accumulato in abbondanza nelle relazioni tra gli uomini e custodito nei cuori con uno zelo degno di miglior causa: più ce n’è, meno ci si impegna a cercare di smantellarlo, ma lo alimentiamo e arricchiamo di motivazioni, così che ha raggiunto una capacità di offesa spaventosa». Come uomo di Chiesa lancia una sfida impegnativa, ma alla portata di tutti: «in una società in cui l’odio è più presente, anche la fraternità cristiana deve risultare più affascinante e capace di estinguere le contese, di disinnescarle, di renderle meno attraenti». L’enfasi sulle frontiere – mette in guardia il cardinale – ha troppo in comune con le ossessioni dei nazionalismi che hanno avvelenato il secolo scorso con due guerre mondiali e il paganesimo della superiorità della razza. «Per dire che i diritti dei “miei” sono più dei diritti dei “tuoi” occorre coprire la realtà, creare narrazioni plausibili ma infondate, creare gerarchie tra persone, capri espiatori, nemici, congiure internazionali che impedirebbero di espanderci o di fare le cose giuste. Occorre creare un linguaggio bellico in tempo di pace nonché continui nemici e bersagli. Occorre promettere di affrontare fenomeni planetari e cambiamenti epocali con soluzioni talmente semplici da essere impossibili, visto che non esistono, per esempio, i muri alti fino al cielo che fermano le epidemie, i cambiamenti climatici, i disastri nucleari. I muri, comunque vada, impediscono di vedersi, parlarsi, conoscersi, e la vita si popola di nemici e fantasmi da tutte e due le parti del muro. La grandezza di una patria risiede nel garantire il bene comune e il bene dei suoi cittadini, senza eccezioni». Aggiunge Zuppi: «il Vangelo è chiarissimo, semplice, oserei dire lapidario. Già la Scrittura, fin dal libro della Genesi, disinnesca la stessa origine dell’odio, rappresentata dalla ferita (reale o presunta) subìta da qualcuno, che diventa la giustificazione o la ragione del risentimento e dell’ostilità». I cristiani sono chiamati a non odiare, non possono odiare, non possono mai avere nessuna giustificazione per odiare qualcuno, neppure quando subissero un torto radicale.

Sono certo che affronterà gli interrogativi difficili dei nostri tempi non solo con la fiducia nell’amore fraterno – così come tratteggiato più volte da Papa Francesco – ma con la consapevolezza che il proprio impegno deve essere condiviso sempre con qualcuno, «perché il cristiano come ogni uomo non è un’isola, ma ha sempre una comunità con cui vivere». E ricercare la propria felicità con gli altri. Al funerale di Davide Sassoli disse significativamente: «Il Vangelo ci parla di Beatitudine. Attenzione, non è diversa dalla felicità umana, anzi è proprio felicità piena, proprio quella che tutti cerchiamo. La beatitudine del Vangelo non è una sofferta ricompensa ultima per qualche sacrificio, ma libertà dalle infinite caricature pornografiche di felicità del benessere individuale a qualsiasi prezzo. Non c’è gioia da soli! La gioia del Vangelo unisce, non divide dagli altri e noi cerchiamo non una gioia d’accatto, ma vera e duratura».

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