Presidente Claudio Cricelli quali sono le prospettive della sanità italiana per l’anno che è appena cominciato?
“Ci siamo messi alle spalle una legislatura, che è stata interamente incentrata sull’emergenza e sulle risposte da dare”, dice il Presidente della Società Italiana di Medicina Generale “L’emergenza ha fatto percepire più nitidamente cose, che già si conoscevano. Alcuni aspetti dell’organizzazione del nostro sistema sanitario nazionale sono inadeguati a soddisfare le esigenze di salute dei cittadini. Le emergenze fanno scattare l’allarme e la pressante richiesta di correre ai ripari, anche rispetto a problemi, che erano annosi e risaputi. Si è pensato che tutto dovesse ruotare intorno ai finanziamenti legati al superamento dell’emergenza, quali sono quelli del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Questo è un errore metodologico, perché le emergenze, se corrispondono ad esigenze già note, vanno affrontate con gli strumenti dell’ordinarietà, non della straordinarietà, che ci fa inevitabilmente commettere una marea di errori, determinati dalla fretta di dover rispettare, a tutti i costi, i tempi imposti. Finalmente si comincia a capire che la fretta è cattiva consigliera e che dobbiamo pensare a soluzioni strutturali. Quello che nel nostro sistema sanitario non funziona lo abbiamo capito da tempo. Ora abbiamo la possibilità di utilizzare le risorse aggiuntive del Pnrr per colmare alcune delle lacune strutturali, che ci impediscono di restare al passo con i tempi. Il nostro sistema sanitario, ad esempio, è in uno stato di ormai cronica sofferenza per le difficoltà di integrazione e di comunicazione fra i vari livelli. E’ difficilissimo per tutti, operatori, strutture, regioni, ministeri e cittadini, riuscire a entrare in contatto con le altre stazioni del servizio sanitario. Destinare una parte delle risorse del Pnrr alla digitalizzazione dell’intero sistema può consentirci di risolvere un problema, che non è calato dall’alto o la scoperta di qualcosa di ignoto. E’ un problema reale, che tutti già conoscevamo. Ora non potremo più dire, come si è ripetuto per anni, che la digitalizzazione non è fattibile perché non ci sono le risorse necessarie”.
Sarebbe un gigantesco passo in avanti rispetto alla confusione che ha mandato in tilt il sistema…
“La circolazione digitale dei dati, dei referti, delle informazioni e delle cartelle cliniche potrà finalmente essere facilmente usufruibile, naturalmente rispettando rigorosamente le misure di sicurezza.
Il limite dei finanziamenti infrastrutturali è che non basta mettere in piedi un progetto. Le cose, poi, bisogna farle funzionare. Ogni volta che noi allochiamo delle risorse per costruire qualcosa di nuovo, avremo poi bisogno di altre risorse, in ipotesi anche maggiori, per farla funzionare”.
Le faccio ora una domanda che attiene più specificamente al suo ruolo di Presidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle cure Primarie. Come sa meglio di me, il decreto interministeriale numero 77, emanato, nell’anno da poco andato in archivio, dal ministro della Salute di concerto con quello di Economia e Finanza, demanda le cure primarie della popolazione alle ancora fantomatiche Case della Comunità. Lei crede che questa sbandierata nuova frontiera della sanità pubblica italiana sia la panacea di tutti i mali?
“Non si tratta di credere o non credere. Questa delle case di comunità era l’unica soluzione che era disponibile, quando il Governo italiano ha dovuto presentare una proposta concreta per accedere ai finanziamenti europei. E’ niente altro che un progetto, vecchio di almeno cinque anni, che stava chiuso a chiave in non so quale cassetto. Ha molte lacune e altrettante imprecisioni. Ha, però, il pregio di definire la cornice, entro la quale dobbiamo costruire la riforma della sanità territoriale. Non c’è dubbio che la nuova architettura è al momento poco funzionale rispetto ai bisogni della popolazione. Il punto di debolezza e il paradosso del modello, delineato dal decreto 77, è che contraddice tutte le istanze di avvicinamento delle strutture al cittadino. Le case della comunità corrispondono a un modello vecchio, piramidale e burocratico, che presupponeva che fosse il cittadino a dovere andare incontro alle strutture e non l’auspicabile contrario, oltretutto in plateale contraddizione con tutta la modellistica della società moderna e con la demografia. C’è tutta una popolazione che, dal punto di vista sanitario, non si può spostare. Pensi agli anziani e ai disabili, che dovrebbero sobbarcarsi decine di chilometri di strade, magari tortuose, per chiedere e ricevere cure appropriate”.
C’è poi il problema dei medici di famiglia, che di trasferirsi nella case della comunità non ne vogliono sapere…
“Per arrivare a mettere concretamente in piedi le case di comunità non bastano i finanziamenti straordinari del Pnrr. Occorrono, come il pane, i finanziamenti, che sono di competenza del bilancio ordinario dello Stato, di cui, peraltro nella finanziaria, appena congedata dal Governo, non c’è traccia. Sono quelli che servono a garantire il concreto e ordinario funzionamento delle strutture. Il Pnrr getta le basi per le le fondamenta e i muri esterni della casa. Poi, però, la casa va finita all’interno e riempita. La vera debolezza di tutto l’impianto è che abbiamo le risorse per costruire il palazzo, ma non quelle che servono per metterci dentro il personale e tutto quello che occorre per farlo funzionare. Questo è il punto di crisi di questa finanziaria e di tutte quelle che seguiranno. O si trovano i soldi oppure costruiremo solo cattedrali nel deserto. Venendo ai medici di famiglia, in questo momento stanno badando a rispondere alle esigenze di persone che, anche per le criticità legate alla pandemia e all’invecchiamento della popolazione, hanno bisogno di un medico vicino, non di un medico che si allontana da loro e che non ha più il tempo necessario per l’assistenza domiciliare. E’ una contraddizione che noi medici di famiglia denunciamo. Non siamo stati consultati né minimamente coinvolti. E’ l’ennesima scelta, calata dall’alto, su cui non si è riflettuto, come si doveva, nella fretta di accedere a dei fondi, che rischiano di essere solo uno spreco”.
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