Che la stampa sia messa male è un dato evidente. Il terremoto nel Centro Italia ha messo in luce difficoltà e incapacità nel fare informazione con un giorno di ritardo rispetto alla valanga in tempo reale delle tv, dei siti, dei social. E non è certo una soluzione l’uso esasperato della retorica e dell’aggettivazione stellare nella narrazione. Come non è una soluzione la ricerca senza basi culturali profonde della diversità delle scelte basata su una ideologia o sulla casualità creativa (che è peggio).
Ma nel dibattito che si sta accendendo e che sarebbe utile all’informazione in genere che non fosse relegato tra i soliti tromboni o guru da festival, arriva la Stampa con a S maiuscola, quella di Torino a rappresentare un caso esemplare. Il duo d’attacco, Molinari e Gramellini, stanno portando questo glorioso giornale su un terreno vincente. Non tanto per dare un esempio di come potrebbe essere il giornalismo del futuro su carta, con maggiori responsabilità e pensiero: quello proprio no. Piuttosto per parlare al lepenista che è chiuso dentro il cervello di ogni benpensante intossicato dall’estremizzazione esacerbata dei sentimenti a fronte di zero pensiero.
Molinari, sin dal suo epico debutto (L’analisi genetica delle tribù arabe: manca solo il pentolone) con una “chiamata alle armi dell’Occidente limpido e rispettoso contro le tribù dei brutti arabi e bruttissimi negri col pentolone fumante”, come rilevava in tempi non sospetti Globalist. In quel pezzo a cavallo tra ignoranza e razzismo (confinanti) aveva scritto il nostro: “Fra chi arriva vi sono portatori di usi e costumi che si originano dalle lotte ataviche per pozzi d’acqua, donne e bestiame”. Poteva sembrare uno scivolone, invece nel tempo è stato facile capire che era il segno di una mediocrità ottusa che ha preso il potere e tiene le fila, dirige giornali, fa televisione, salottini e talk show. Trasmette il virus della mediocrità al cittadino.
Ma veniamo al prode Gramellini, il reuccio della banalità televisiva scritta in prima pagina su un giornale tradizionale. Dopo aver sbirciato nella scollatura delle hostess Alitalia in un magistrale attacco sessista e razzista (Sessismo e razzismo: Gramellini sbircia nella scollatura delle hostess) eccolo di nuovo in campo con il suo bagaglio di maschio bianco, ricco, giornalista quindi completamente nel giusto, che ha costruito grazie alla sua cultura una civiltà giusta e senza ombre. E, dall’alto del suo predominio antropologico, può giudicare il resto del mondo con il filtro della supremazia occidentale. Perché di questo si tratta. In sintesi nel suo Buongiorno (immediatamente sbertucciato dai lettori della Stampa, se non hanno tolto i commenti per pietà, andateli a leggere) sostiene che chi viene qui a casa nostra non si deve adeguare solo alle nostre leggi, ma anche al nostro modo di vedere il mondo. Quindi, diventare atei, ignorare il buonsenso, trasformare il corpo delle donne in un oggetto sempre a disposizione del maschio alfa, del predatore di turno, del consumatore di prodotti pubblicizzati da corpi ignudi e sensuali, sempre disponibili.
Se una persona non la pensa così è fuori dai binari. Non concepisce la libertà come la concepisce Gramellini. Una libertà che, come viene spiegato abbastanza in questo pezzo, Ragazzine prostitute e bimbe sotto le bombe: ma senza burkini, si basa sul fatto che ci interessiamo di questioni insulse, per mostrare il machismo occidentale perbenista e libero, ma non “…delle ragazzine di sedici anni, mezze nude, che sui viali delle nostre città si prostituiscono al servizio degli aguzzini”. Cito ancora dal testo: “Non portano il burkini, non sono nostre figlie o sorelle, quindi culturalmente non ci devono interessare? Sono in numero maggiore queste schiave minorenni nelle città o le donne che scelgono il burkini? E come mai il benpensante (magari anche cliente) non trova niente da dire su questo fenomeno dilagante? Ritiene che una ragazzina si possa vendere mezza nuda per strada per una scelta di libertà individuale conquistata dopo anni e anni di femminismo? O perché schiava delle mafie? Mi chiedo come mai ci turbi il burkini e non la violenza delle guerre o delle ragazzine violentate ogni notte da uomini normalissimi che si nascondono dietro la cultura del dio denaro: pago, violento, torno a casa dalla mogliettina e dai figli, mi scandalizzo del velo…”
Concludo dicendo che il mondo è dei Molinari e dei Gramellini. Hanno ragione loro: hanno una posizione, sono benestanti, poche idee ma conformi con quelle di chi conta. Quindi dal loro monticello dorato non possono che godersi i riflettori, fottendosene ampiamente del declino dell’informazione, del suicidio della carta stampata. Questo è il punto. Chi ha in mano le redini del sistema, sia esso finanziario che politico o mediatico (per parlare anche delle declinazioni) non può che difendere le sue posizioni, non può avere alcun interesse per il bene comune. Ma solo per il profitto privato. E in questo concetto ognuno, liberamente, può inserire tutto quello che è sotto gli occhi e che denota il comportamento della nostra società. Oppure può mettersi il burka metaforico in testa e continuare a far finta di niente, tra ignoranza e allarmismi. Affidandosi a soloni e guru del vantaggio personale. Indifferentemente.
Ps. Il velo non ha impedito alla pakistana Malala Yousafzai di vincere il premio Nobel per la pace nel 2014.