Bordin, la voce che ha reso Radio Radicale patrimonio unico del giornalismo
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Bordin, la voce che ha reso Radio Radicale patrimonio unico del giornalismo

La morte del giornalista ha suscitato sgomento. Ma quell'eredità di garbo, sobrietà e cultura deve esserre salvaguardata per il bene dell'informazione e della politica

Massimo Bordin
Massimo Bordin
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Gianni Cipriani Modifica articolo

17 Aprile 2019 - 14.49


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Ora che Massimo Bordin è morto molte sono le testimonianze sulla sua competenza, la sua cultura, il suo garbo, la sua sobrietà.


E mi sento dire che queste affermazioni sono tutte vere. Non sono i soliti omaggi di maniera fatti a chi non c’è più.


Perché Massimo Bordin, voce storica di Radio Radicale (con il suo timbro di voce ineguagliabile) e anche protagonista della rassegna stampa entrata nella storia del giornalismo, è stato nella sua semplicità e pazienza, a suo modo un gigante.


Ora mentre c’è un grande smarrimento tra molti giornalisti e non solo, mi sento di testimoniare che Bordin è stato un modello e una voce critica che ha aiutato molti operatori dell’informazione e politici avveduti a riflettere e, anche, a cercare di migliorarsi e a guardare fatti ed eventi con un altro punto di vista.


Ho avuto la fortuna, ormai un bel po’ di anni fa, di conoscere Bordin dopo che lui – con mia grande e lieta sorpresa – cominciò talora a leggere e citare brani dei miei articoli scritti allora per l’Unità.


Essere citati da Bordin era una medaglia al merito e confesso che ne fui lusingato, anche perché quando accadeva (io non sono mai stato mattiniero e sentivo soprattutto le repliche) puntuale mi arrivavano i messaggi di colleghi e amici che mi dicevano: “Oggi Bordin ha letto il tuo articolo”. A testimonianza di quanto popolare fosse la rassegna stampa.


In particolare, un giorno, scrissi su l’Unità un pezzo sulla morte di Giorgiana Masi che si avvicinava molto alla lettura che i radicali avevano sempre dato di quei tragici eventi. E lui lo commentò con un: ‘finalmente dopo molti anni…’.


I meno giovani devono sapere che negli anni Settanta e Ottanta i rapporti tra Pci e i Radicali di Marco Pannella erano stati piuttosto turbolenti e anche la vicenda di Giorgiana Masi aveva avuto diverse letture storico-politiche.
Ora io non rappresentavo certo il Pci (che tra l’altro quando scrissi l’articolo aveva chiuso i battenti da un pezzo) ma solamente me stesso, visto che a l’Unità avevo tutta la libertà che volevo.


Ma quella ‘scintilla’ determinò il fatto che ci conoscemmo di persona e che avviammo un dialogo costante che poi sfociò in una rubrica che Massimo Bordin tenne sui giornali del gruppo Epolis (bellissima esperienza nata dall’intuizione di Niki Grauso, ma che durò troppo poco) dei quali all’epoca ero condirettore.


Agli albori di Globalist una volta alla settimana registrava un video facendo il punto della situazione politica e descrivendo gli scenari.


Bordin era un raffinato osservatore della politica italiana. E soprattutto nei tempestosi anni della cosiddetta ‘seconda repubblica’ le sue analisi e le sue letture delle dinamiche erano sempre puntuali e tracciavano una linea nel caos.


Riservato, sobrio, modesto. Qualche volta si lasciava andare a qualche considerazione più personale. E così qualche giorno dopo un ‘bisticcio’ in radio con Pannella commentò tra l’ironico e lo sconsolato: “Con Marco ci vuole pazienza, tanta pazienza. Io non so quanto potrò reggere ancora…”.


Massimo Bordin mancherà a tanti. A quelli che aspirano a un giornalismo serio, competente e non urlato. A quelli che vogliono una politica diversa, lontana dalla demagogia e dalla violenza verbale.


La sua voce è patrimonio del giornalismo italiano. Così come lo è Radio Radicale.


Il miglior modo di onorare la memoria di Massimo Bordin è salvaguardare quel patrimonio e non far spegnere una voce libera, onesta e seria della quale Bordin è stato nella sua sobrietà un superbo direttore e interprete.

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