L’errore originario risale al decreto del Presidente del Consiglio dell’11 luglio 2023, in cui si scriveva che tra i requisiti per l’iscrizione nell’elenco delle agenzie di stampa di rilevanza nazionale vi fosse l’istituzione di un garante contro la diffusione delle fake. Il Dcpm fu emanato dal sottosegretario con delega Alberto Barachini.
Successivamente, dopo numerose proteste e la presa di posizione nettamente critica della Federazione nazionale della stampa, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria scrisse una circolare (n.1/2023) che non chiarisce granché. Quello che lì viene chiamato «presidio collaborativo» rischia di diventare in pratica un controllore che arriva chissà da dove e si inserisce impropriamente nella macchina redazionale.
Con l’aria che tira il pericolo che il signore delle fake si trasformi in un commissario politico non è infondato. E non c’è circolare che tenga, capace solo di rendere ancora più evidente l’errore.
L’appello a Barachini affinché correggesse il testo non è stato ascoltato.
Ora sono in corso le procedure concorsuali, con la richiesta di iscrizione all’apposito elenco, naturalmente con i requisiti richiesti. Il garante anti fake rimane ed è così un fardello imbarazzante.
Non per caso nelle stesse FAQ (Frequently Asked Questions) inviate per delucidazioni al Dipartimento ve ne sono alcune inerenti alla figura del garante: puntualizzazioni sulla natura dell’organismo, modalità di scelta e di inserimento.
Stride con la rigida sequenza dei requisiti formali richiesti per le aspiranti agenzie nazionali il bizzarro e vago affresco dai contorni estranei a norme e contratti dell’uomo (o donna) della provvidenza.
Insomma, il vulnus sta ancora lì e rischia di creare non pochi danni.
Ad esempio, se in un’inchiesta coraggiosa che si imbatte in un capitolo ambiguo su cui non c’è certezza assoluta ma emergono tracce significative per la comprensione dei fatti, dovesse interviene a mo’ di Ministero della Verità il garante in questione, che succederebbe? Quali sono i confini di una funzione artificiosa dai tratti pericolosi?
Non vogliamo pensare davvero alla decisione di mettere il bavaglio a chi fa cronaca, perché non ci capaciteremmo di un’involuzione degna di un regime.
Ma, se non è così, si riconosca la sconcertante svista e si ritocchi il testo.
Tra l’altro, magari pioveranno ricorsi amministrativi contro un provvedimento che sembra un abuso.
Comunque, tale vicenda -di per sé preoccupante- pone una questione generale: come si definiscono le fake? Non è facile separare il grano dal loglio. Ovviamente, è semplice capire dove sta la patologia nei casi evidenti e spesso volgari che si rintracciano nei social e di qui trasmigrano sulla carta stampata o sulle reti televisive. Allarmi sullo stato di salute di qualche personalità o iperboli sulla vita privata di figure famose sono agevolmente smascherabili.
Se, invece, si passa alla guerra in Ucraina dove corre la linea d’ombra tra informazione, controinformazione e notizie propagate ad arte per destabilizzare la situazione? Per non parlare della vera e propria opera di depistaggio avvenuta in numerose pagine dei segreti italiani: dalle stragi, al terrorismo, alla criminalità organizzata e a suoi rapporti con servizi segreti deviati.
Sono casistiche sommarie, ovviamente, ma emblematici dell’assurdità di ingaggiare esperti estranei o inconsapevoli. Su tutta la materia del vero, del falso e del verosimile è la struttura giornalistica ad avere diritti e doveri inerenti alla deontologia professionale. E spetta a chi fa un servizio e alla gerarchia della testata assumersi la responsabilità di quanto si pubblica o si fa vedere e sentire.
Può capitare, dunque, anche l’eterogenesi dei fini: un articolo immaginato per altro si tramuta in un’arma puntata contro la libertà di informazione.
Invece di perseverare, perché non si pensa di introdurre presto qualche vincolo contro l’uso improprio dei dati e dei profili delle persone per finalità elettorali?
La scadenza europea si avvicina e non per caso anche a Bruxelles e Strasburgo qualcosa si muove.