Ciociaro, come il suo accento. Un marchio di fabbrica che lo lancia verso il successo nell’edizione di Canzonissima del 1959, la più vista di sempre, dove inventa il personaggio del barista di Ceccano. Dopo anni di studio teatrale, ironia della sorte, sono le sue origini contadine a tornargli utili. Eppure Saturnino Manfredi, in arte Nino, non si fa ingolosire dalle tante offerte che arrivano e che lo ridurrebbero a un eterno ciociaro e basta. Continua il percorso che lo porterà a essere uno dei più grandi attori della commedia all’italiana, passando per radio, cinema, teatro e tv. Una vita ripercorsa nello speciale di “Italiani”, riproposto in occasione del ventesimo anniversario della sua scomparsa, martedì 4 giugno alle 22.10 su Rai Storia, con l’introduzione di Paolo Mieli.
Malato di tubercolosi e ateo, da giovane si salva per miracolo. È durante i tre anni trascorsi al sanatorio che capisce di amare il palcoscenico perché: “Tutto nasce dal dolore. Quella sofferenza mi ha insegnato a essere più sensibile, a diventare un attore più profondo e a scoprire quello che di più bello c’è nella tragedia: l’ironia”.
Frequenta l’accademia d’arte drammatica. Il padre lo vorrebbe “libero professionista”, ma la madre – figlia di migranti italo-americani che torna adolescente in Ciociaria – convince il marito: “Questo figlio è così sfortunato, c’ha poco da vivere. Fagli fare quello che vuole”. Il padre lo concede, a patto che Nino si laurei in giurisprudenza. Giurista e teatrante, come Goldoni, di cui interpreta l’Arlecchino ne “La famiglia antiquaria” proprio nel periodo della laurea. Studia teatro con Orazio Costa. E poi passa da Shakespeare a Wanda Osiris, dal doppiaggio a fare il comico in televisione. Rimane sempre lontano dalla convenzione, come dimostra il suo Geppetto nel Pinocchio di Luigi Comencini: “Geppetto non è un vecchio, ma un bambino nel corpo di un vecchio, che soffre di solitudine e non si meraviglia che un pezzo di legno parli”.
Stupisce sempre, da subito. Quando tutti si aspetterebbero la parlata ciociara del barista di Ceccano, lui dà vita al suo filone preferito: la recitazione senza parole ne “Avventura di un soldato” del 1962, che è anche il suo esordio nella regia del cinema. Nel 1964 il successo della tournée della commedia teatrale Rugantino negli Stati Uniti, patria della commedia musicale, lo consacra a essere uno dei volti più popolari della commedia all’italiana. Lamenta il fatto che il cinema comico sia sottovalutato in patria, snobbato dalla critica nostrana. Nella risata, lui coltiva temi seri come la ricerca della figura divina ne “La grazia di Dio”, il dramma della migrazione in “Pane e cioccolata” e poi i disturbi mentali in “Colpo di Luna” di Alberto Simone, amico del figlio e poi marito della figlia Roberta. La risata nelle lacrime rimane tratto distintivo del suo lavoro poliedrico perché “Quando uno riesce ad affrontare un tema drammatico facendo nascere il sorriso sulla bocca dello spettatore, allora il segno è arrivato dentro”.