Ormai è stata ribattezzata “la regione degli imprenditori suicidi”. Il tempo dell’oro è passato, passata quella felicità economica che aveva fatto di quest’angolo d’Italia un fazzoletto di Belpaese più europeo che Mediterraneo, come gli stessi imprenditori, con orgoglio, amavano sottolineare.
Ora è il tempo delle chiusure e dei fallimenti, dell’inutile appello alle banche, della spasmodica attesa di pagamenti della pubblica amministrazione che, se puntuali, potrebbero ridare un po’ di ossigeno alle aziende e fermare qualche pistola puntata alla tempia.
In Veneto, sono ormai decine gli imprenditori che non ce l’hanno fatta, e hanno chiuso impresa e vita. A Padova, a metà dicembre – ne avevamo parlato – il gesto estremo lo aveva fatto un imprenditore edile di 59 anni di Vigonza, appena fuori Padova. Un colpo di pistola per l’impossibilità di risollevare l’impresa riscuotendo i suoi crediti di lavoro, 250mila euro. Con quei soldi che non arrivavano dalla pubblica amministrazione avrebbe potuto fare fronte all’esposizione verso le banche, pagare i dipendenti.
Ora, la moglie e la figlia dell’imprenditore morto suicida a metà dicembre sono state le prime a firmare un appello degli imprenditori veneti al Presidente del Consiglio, Mario Monti. “Portaci in Europa” il senso dell’appello. “Bisogna recepire velocemente – scrivono le aziende – le direttive europee contro i ritardi nei pagamenti, per il bene delle aziende e del Paese”.
Il Veneto, come nel resto d’Italia, una piccola impresa non può sopportare gli incredibili ritardi che si registrano nei pagamenti degli enti pubblici. Perché le banche ti bussano puntualmente alla porta dell’azienda. Se da una parte non ti danno i soldi e dall’altra c’è chi li esige puntualmente, il risultato è il collasso.
Oggi, in Veneto si paga a 4 mesi, un anno dopo nella sanità pubblica. Gli standard europei parlano di 30 giorni nella normalità, di 60 nei casi eccezionali. L’amministrazione pubblica e l’ente che non pagano nei tempi dovuti (in Europa) sono chiamati a pagare interessi di mora progressivi che scattano già dopo un mese, partendo dall’8 per cento.
Dietro il ritardato pagamento non ci sono soltanto indolenza, cattiva organizzazione o anche scarsa cultura amministrativa. Si sa (ce lo dicono alcune inchieste ) c’è la pratica criminale della tangente. Il sistema è semplice: io tardo a pagarti, tu ci fai fretta e noi per velocizzare la pratica ti diciamo che abbiamo bisogno di “olearla”. E così, nella migliore delle ipotesi l’imprenditore deve prevedere anche il costo aggiunto (e in nero, ovviamente) della tangente o delle tangenti, distribuite in proporzione al ruolo degli interlocutori avvicinati per sbloccare la pratica. Chi incassa ha l’alibi del “carrozzone” e la certezza della mancanza di regole, quelle regole europee che potrebbero disinnescare il sistema del “mangia, mangia”.
In attesa che Monti legga la lettera e provveda, da Nord a Sud è la stessa cosa. A Catania un imprenditore in crisi, costretto a licenziare, si è tolto la vita. Roberto M. era titolare, col fratello, di una delle più note concessionarie di moto della città. La notte di Capodanno ha cenato con i familiari, poi si è allontanato. Il 2012 che entrava non prometteva niente di buono, anzi. Ha ingerito dei barbiturici e si è impiccato.
Roberto era ossessionato dal futuro della propria famiglia e dal futuro delle famiglie dei dipendenti. Un’unica famiglia, conosceva i bambini di chi lavorava per lui. Aveva fatto ricorso al partime e aveva cominciato a “tagliare”alcuni posti di lavoro. Passo ulteriore, chiudere, il buio nero per la propria famiglia e per gli amici che dividevano con lui le difficoltà del nostro tempo. Ha preferito chiudere, ma con la vita, e il primo dell’anno, quando ancora non era giorno.