Il costo della crisi? 30 milioni di vite spezzate

Blocchi stradali, una gru, ogni angolo del paese riecheggia dell'urlo dettato dallo spettro della fame. Nel resto del mondo non va meglio. [Onofrio Dispenza]

Il costo della crisi? 30 milioni di vite spezzate
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

22 Gennaio 2012 - 17.41


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Pare che i disoccupati nel mondo siano 200 milioni. Il dato é stato diffuso dall’Organizzazione Mondiale del Lavoro e i dettagli del rilevamento saranno precisati a Davos. Duecentomilioni, dunque, 27 milioni in più rispetto a prima della crisi del 2008. Quindi, la crisi dalla quale il mondo tenta di uscire ci é costata quasi 30 milioni di vite spezzate. E la conta non é finita perché siamo nel bel mezzo del guado e l’orizzonte é scuro.

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Le cronache, quelle che meritano e quelle travolte dagli eventi più grandi, ci raccontano piccoli e grandi drammi. Drammi in solitudine che precipitano nella tragedia e nel lutto, drammi collettivi che cercano visibilità. E’successo nella domenica del calcio, a Cagliari, con gli operai disperati dell’Alcoa di Portovesme, che sono col culo per terra per il disimpegno della multinazionale americana, che manda tutti i casa. I lavoratori, sapendoci tutti davanti alla tv a pagamento in attesa del fischio iniziale del campionato di serie A, hanno pensato bene di andare davanti all’albergo che ospitava la Fiorentina, bloccando la squadra in attesa di andare allo stadio di Cagliari, il Sant’Elia. Naturalmente, siccome i lavoratori saranno disperati ma anche sicuramente civili, tutto si é risolto nella maniera più civile: l’allenatore della Fiorentina, Delio Rossi, persona garbata e di poche parole, li ha incontrati, ha ascoltato le loro ragioni. E le ha condivise, e come non condividerle.
In queste settimane, in questi giorni, ogni spazio ed evento di piazza é buono per far sentire la rabbia di chi non ce la fa più. Sarà così nei giorni e nelle settimane a venire. E bene che si sappia, e bene che lo capiscano le forze politiche. Con responsabilità, senza pensare al tornaconto di non sentire o, all’opposto, di cavalcare.

Un blocco stradale, la piattaforma di una gru, ogni angolo del Paese riecheggia dell’urlo dettato dallo spettro della fame, da una sorta di claustrofobica sensazione di ineluttabile solitudine che scivola nel nulla senza speranza.
La piazza, dunque, che si gonfia, sformata, pericolosamente eterogenea per somme di ragioni. Per questo bragile, permeabile. E’ facile mettere l’esca ed é facile che l’esca richiami i tanti affamati.

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La democrazia é un bene prezioso e fragilissimo, e richiede cura e attenzione massima.

La piazza, le piazze, le solitudini. Ne abbiamo parlato di solitudini, non solo quelle di operai e senza lavoro disposti pure a mangiarsi la dignità. Abbiamo raccontato di imprenditori stretti da banche e lungaggini criminali, che hanno preferito farla finita anziché vedere dissolversi nel nulla generazioni di impresa e lavoro. E non abbiamo parlato di imprenditori che pure abbiamo incontrato e che ci hanno raccontato che lavorano e producono senza alcun ritorno. Arriva loro la commissione di un cliente che si sa in difficoltà, onorano la commissione e poi il committente dice di non avere i soldi, che pagherà appena potrà. Che fare? L’alternativa alla scommessa di una commissione onorata e non pagata é fermare tutto, chiudere, mandare a casa chi ha lavorato con te per decenni. Quindi, dai fondo alla cassa, ti rivolti le tasche e spendi fino all’ultimo centesimo dei tuoi risparmi, vendi qualcosa, sperando che le cose cambino per tutti. Una roulette russa.

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