“La mia prima impressione fu di terrore. Ascoltare in tv il giudice Antonino Caponnetto dire “Basta, é finita!” fu agghiacciante. Se si arrendeva lui, capo del pool antimafia del Palazzo di Giustizia di Palermo…Fu terribile!”.
Andrea Camilleri in libreria. L’incontro sul volume di un atto unico che ha come titolo “19 luglio 1992” porta a parlare di mafia, dell’estate nella quale, uno dietro l’altro, vennero uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
“La mafia aveva abbattuto le 2 torri”, Andrea Camilleri lo dice per dare il senso di quel duplice attacco mafioso alla Sicilia, alla democrazia nel nostro Paese, ma aggiunge: “Ma con quelle due stragi la mafia era anche andata oltre, le era sfuggito il senso della misura. Non aveva valutato bene i contraccolpi di quella strategia. E infatti, subito dopo crebbe il consenso attorno ai magistrati, un pò come é stato all’indomani di Tangentopoli, proprio venti anni fa. Dopo le stragi é arrivato Caselli, c’é stata la sconfitta di Riina e della sua linea stragista, il fallimento della trattativa tra Stato e mafia, il prevalere di Provenzano e della linea di Binnu….Via, via fino ai nostri giorni, al dissolvimento della Cupola”.
E dopo la Cupola? Camilleri tace un attimo, poi…:”Intanto il primato ora é della ‘Ndrangheta e – come diceva Leonardo Sciascia – la palma si é spostata al Nord. Le famiglie mafiose si sono dissolte, ora tutto é nelle mani dell’ “Ufficio studi” della mafia, fatto di colletti bianchi che si muovono nella finanza internazionale…”
All’incontro con Camilleri c’é un magistrato donna della DDA di Palermo. Si passa dal lavoro del giudice a quello del commissario Montalbano. Il discorso cade sul fascino dell’interrogatorio. Al magistrato piace l’approccio di Montalbano con l’indagato, a Camilleri il lavoro del magistrato donna che gli sta accanto.
“A proposito dell’interrogatorio – dice Camilleri – mi ha veramente catturato il racconto che ha fatto Ingroia di come Paolo Borsellino portava avanti l’interrogatorio. Lo ha ricostruito minuto per minuto, nei minimi dettagli: la sigaretta, le pause…E Falcone…Lui spesso ricorreva al dialetto. Una volta – racconta Camilleri – Falcone interrogò un certo Giuseppe Li Greci, chiamato Pinu u Cunciaru, perché conciava le pelli. Falcone avviando l’interrogatorio, lo chiamò direttamente col soprannome…L’indagato s’incupì e disse a Falcone:”Mi Giuseppe Li Greci e voglio essere interrogato in italiano”. Come se l’indagato portato a dialogare in dialetto col giudice, temesse una caduta della sua”difesa immunitaria”.
Falcone, Borsellino, ma anche gli eroi dei nostri tempi, quelli che fanno semplicemente il loro dovere.
“A me colpì molto quell’uomo che, senza volerlo, nel giorno che ucciserò il giudice Livatino diventò testimone chiave del delitto. In Sicilia per lavoro si trovò in quel tratto di strada, vide e parlò, trovo naturale parlare. Gli si stravolse la vita, si infilò in un mare di guai, poteva andare per la sua strada,”tirare dritto”, e invece…”
Venti anni dopo quella terribile estate, cosa é cambiato? “La mia opinione sui siciliani? In noi i mutamenti avvengono. E’retorica, é una leggenda quella che vuole questa terra irredimibile. Sono abbastanza vecchio per valutare i mutamenti intervenuti, per esserne testimone. La nostra é storia di rivolta. Mutamenti veri, che avvengono nel Dna e sono dunque irreversibili”.
Prima di scappare fuori per una sigaretta c’é tempo per parlare della magia del grande amore di Camilleri, il teatro:”Vi spiego, vi faccio un esempio: é una sera di primavera, sono a Roma, vado al Teatro Valle per vedere “Le tre sorelle” di Cecov. Entro, mi guardo attorno, le voci, il mormorio, poi il buio. Si apre il sipario, in sala cala il silenzio, sul palco ecco la Russia, Mosca al mattino…Ecco, improvvisamente siamo tutti a Mosca e 100 anni fa. In un breve spazio temporale ci ritroviamo 100 anni fa e a Mosca. Questo é il teatro”.
“Ora amuninni a fumari!”, e Camilleri va in strada.