Dalla Cassazione arriva la conferma di una condanna che farà molto discutere, soprattutto ora che siamo all’inizio dell’anno scolastico. È stata infatti confermata la condanna a 15 giorni di reclusione nei confronti di una prof che, per punire uno studente di 11 anni, gli aveva fatto scrivere per cento volte sul quaderno la frase «sono un deficiente». Il motivo è che gli insegnanti non possono rispondere con metodi prepotenti agli atteggiamenti di «bullismo» degli allievi perché, così facendo, «finiscono per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o sociali) sono decisi dai rapporti di forza o di potere».
Secondo la Suprema Corte l’insegnante Giuseppa V., docente di una scuola media statale di Palermo, è senz’altro colpevole «di aver abusato dei mezzi di correzione e di disciplina» ai danni dello studente G.C., per averlo «mortificato nella dignità» venendo così meno al «processo educativo in cui è coinvolto un bambino», ossia – aggiunge la Cassazione rifacendosi alla convenzione Onu sui diritti dell’infanzia – «una persona sino all’età di 18 anni». «Non può ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi», afferma la Cassazione, «e ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti».
In più – prosegue la sentenza – «non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza, convivenza e solidarietà, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini contraddicono». Insomma la prof merita il carcere per aver punito in una maniera così «umiliante» l’allievo che, secondo lei, stava tenendo «un atteggiamento derisorio ed emarginante nei confronti di un compagno di classe». «Costituisce abuso punibile anche il comportamento doloso che – come in questo caso – umilia, svaluta, denigra o violenta psicologicamente un bambino, causandogli pericoli per la salute anche se è compiuto con una soggettiva intenzione educativa o di disciplina».
La Cassazione ha però concesso alla prof uno sconto di pena rispetto alla condanna d’appello pari a 30 giorni di reclusione, eliminando l’aggravante di aver provocato nell’adolescente un «disturbo del comportamento», ipotesi avanzata dallo psicologo, ma non provata con certezza. Il verdetto è stato scritto dal consigliere Francesco Ippolito, segretario generale della Cassazione, e componente della Sesta Sezione Penale, presieduta da Nicola Milo.