Unidici anni di indagini, sei di processo, una guerra infinita che Silvio Berlusconi ha giocato dallo scranno della presidennza del Consiglio. Il processo che oggi ha tagliato il traguardo del primo grado al tribunale di Milano era il più temuto da Berlusconi. Sfruttamento della prostituzione? Per Berlusconi il processo che vede coinvolta Ruby Rubacuori è una sciocchezza, in confronto a questo che lo vede contrapposto al tribunale di Milano da ben 11 anni, quando cominciò l’inchiesta.
E da quando, sei anni fa, il pm Fabio De Pasquale è riuscito ad approdare in aula – dove di fronte a un giudice ha cominciato a raccontare la storia di come la famiglia Berlusconi ha fatto i soldi frodando il fisco – l’ex primo ministro italiano ce l’ha messa tutta per cercare di bloccare il processo. Che ha subito ben tre “stop”: il
25 febbraio del 2008 in attesa delle elezioni del 21 aprile
successivo, il 26 settembre 2008 per il ricorso alla Consulta sulla
legittimità del Lodo Alfano, il 19 aprile 2010 per una questione di
legittimità costituzionale della legge sul legittimo impedimento.
Persino la condanna di oggi, clamorosa, è ancora “appesa” a quella storia di “legittimi impedimenti”. La Corte costituzionale, infatti, deve ancora decidere se un’udienza che fu celebrata nel 2010 poteva o no essere realizzata: Berlusconi infatti aveva detto di aver per quel giorno un legittimo impedimento. E la Camera fece ricorso. Solitamente i giudici evitano di pronunciare sentenza se la Corte deve ancora prendere una decisione su quel procedimento. Ma è evidente che in questo caso i giudici hanno voluto portare a termine il processo. E’ chiaro, però, che se la Corte dirà che quell’udienza di due anni fa non doveva essere celebrata, bisognerà cancellare gli ultimi due anni di processo. Condanna compresa.
Il valzer delle prescrizioniD’altronde la “danza” ballata a suon di leggi ha permesso di dribblare la maggioranza delle accuse che il pm aveva costruito in undici anni. Le più “leggere”, infatti, in queste sei anni sono finite in prescrizione. Tra queste anche l’uscita di scena del famoso avvocato David Mills. Erano rimasti la frode fiscale e il riciclaggio. Berlusconi è stato condannato a quattro anni per frode fiscale.
Le accuse
Secondo la procura di
Secondo l’accusa del pm la famiglia Berlusconi negli anni ’90 ha costruito il suo impero finanziario sistematicamente frodando il fisco. Come? Mediaset comprava film americani attraverso vari intermediari che permettevano di gonfiare le fatture. Intanto le voci passive dei propri bilanci crescevano, con risparmi notevoli da
un punto di vista dell’imposizione fiscale, riuscendo al tempo stesso
a produrre fondi neri.
Nel dettaglio, tra il 1994 e il 1998, il gruppo avrebbe avuto
“costi fittizi per 368 milioni di dollari” nell’acquisto dei diritti
tv su una spesa complessiva di un miliardo di dollari. Per Mediaset,
come ha sostenuto l’accusa in sede di requisitoria, “ci sono stati 90
milioni di dollari in più all’anno di costi gonfiati”. La
contestazione di frode fiscale mossa a Silvio Berlusconi riguarda, in
particolare, gli anni dal 2001 al 2003 e, secondo l’ipotesi
accusatoria, in quei tre anni nei bilanci del gruppo gli effetti dei
costi gonfiati dei diritti tv sono di circa 40 milioni di euro.
I difensori hanno sempre sostenuto in aula che invece l’intermediazione per l’acquisto di diritti televisivi è una prassi del mercato internazionale, e ovviamente che nessun fondo nero è stato mai “riciclato”. Tra l’altro – come ha anche detto Paolo Berlusconi in aula – tutti hanno sostenuto che Silvio Berlusconi, comunque, nulla c’entrava ed era già da molto tempo impegnato in politica all’epoca della contestazione dei fatti.
Nel giugno scorso, a Roma, Silvio e Pier Silvio Berlusconi sono
stati assolti nell’ambito del ramo romano dell’inchiesta sui diritti
televisivi di Rti, controllata da Mediaset con un provvedimento che ha
riguardato anche il dirigente di Mediaset Pasquale Cannatelli, l’ex ad
di Rti Andrea Goretti, i manager Rti Gabriella Ballabio, Daniele
Lorenzano, Giorgio Dal Negro, Roberto Pace e Guido Barbieri, nonché i
manager cinesi Paddy Chan e Catherine Hsu Chun. Gli episodi sui quali
ha indagato la procura riguardavano le dichiarazioni dei redditi del
gruppo Fininvest del 2004 e del 2005 sulla compravendita dei diritti
tv.
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