“Voglio scrivere un libro per raccontare le tante cose che so. Faranno del male a molte persone, farò del male anche a me stesso. Ci sono cose del sistema che è giusto che la gente conosca”. Totò Cuffaro non può non essere che di poche parole. E’ tornato nella sua Raffadali, in Sicilia, per un omaggio al padre, morto il 31 dicembre. Detenuto modello, non si lamenta dello scarto di tempo che c’è voluto per arrivare in paese. L’ex governatore non ha fatto in tempo a partecipare al funerale, ma il Tribunale di sorveglianza di Roma, dove Cuffaro è in carcere, gli ha concesso, in tempi brevi, il permesso di partecipare al lutto della famiglia: “Il carcere ha delle regole ferree per tutti. Siamo tutti delinquenti”.
Lo dice per sente di essere uno come i tanti che scontano una pena. E’ vero, lui si è sempre detto innocente, ma ha sempre rispettato il percorso e la sentenza della magistratura. Ed anche le regole carcerarie: “Mio padre è morto il pomeriggio de 31 dicembre. Ho ricevuto la notizia il giorno successivo, a pranzo. In carcere bisogna rispettare le procedure per avere comunicazioni telefoniche dall’esterno”. A quel punto, la richiesta al Tribunale di sorveglianza; richiesta subito accolta. ” Nulla da eccepire sulla solerzia del Tribunale – dice Cuffaro – che voglio anzi ringraziare per avermi dato la possibilità di salutare mio padre”.
Ritorno in Sicilia, dunque, seppure per poche ore. “Godetevela la Sicilia, è una terra meravigliosa”, dice ai tanti giornalisti che l’hanno atteso sotto casa. Poi in strada arriva l’eco delle considerazioni intime di Cuffaro sulla Sicilia intravista nelle due ore di viaggio, dall’aeroporto a casa, da dietro i finestrini dell’auto. Parla di una Sicilia “diversa, cambiata, ma non certo migliorata”.
A Rebibbia Cuffaro studia: undici esami sostenuti in Giurisprudenza. Studio e attività fisica: “Faccio un’ora e passa di corsa ogni mattina, gioco a calcio e ogni tanto faccio pure l’arbitro”. A fargli compagnia, oltre ai compagni di pena, una montagna di lettere: “Ne ho ricevuto circa dodicimila”. E i libri, quelli che legge e quello che promette di pubblicare da qui a sei mesi. “Un libro per raccontare le tante cose che so. Faranno del male a molte persone, ma farò del male anche a me stesso. Ma ci sono cose del sistema che è giusto che la gente conosca”.
In carcere da due anni, gliene restano altri cinque. Nel libro in cantiere ci sarà spazio anche per quel maledetto vassoio di cannoli che segnò l’inizio della fine. Una foto che fece il giro del mondo e che ora sembra appartenere ad un mondo tanto più lontano di quanto non sia. Era il 2008, Cuffaro era stato appena condannato in primo grado a cinque anni per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento semplice. Era caduta l’aggravante mafiosa, e quella foto fu interpretata (giustamente ) come il segno di una festa fuori luogo, di cattivo gusto e scandalosa. Fu travolto dalle polemiche. Oggi Cuffaro racconta quell’episodio con amarezza e con qualche rimprovero per chi gli stava accanto e non lo consigliò: ”Non facevo festa.. È stata una leggerezza… Avevo uno stuolo di capiredattori (quelli del suo ufficio stampa ndr )… dovevano impedirmelo… Pazienza, è andata così…”. Poi, il rientro in carcere, pure in anticipo. Da Raffadali all’aeroporto, quindi Rebibbia. I compagni di pena, i libri da leggere, lo studio, le lettere e il tempo.