di Ennio Remondino
L’ho scritto in un libro parlando di Mauro Maurizi con l’ironia fraterna che ci univa. Lo racconto da vivo e lui, ne sono certo, gradirebbe. Lo ripropongo oggi, col groppo in gola, per spiegare a tutti coloro che vedono la televisione cosa c’è dietro di essa. Narratori in esposizione video e loro, i cineoperatori, dietro la telecamera a inseguire la notizia per immagine e a mettere un freno a certe nostre vanità. Ripropongo testualmente un passaggio del vecchio libro “La televisione va alla guerra”. Sulla foto di copertina, dietro la telecamera c’era lui. Ciao Mauro. Vorrei dirti un sacco di cosacce per averci mollati tutti così. Siamo in tanti a volerti bene e a piangere.
«Chi non ha odiato almeno una volta nella vita l’uomo della telecamera, non ha mai fatto televisione in condizioni difficili. Personalmente ho detestato molti miei fratelli operatori. Praticamente tutti quelli con cui ho lavorato. Alcuni di loro, li ho odiati più di altri. Trattandosi di un rapporto patologico di amore/odio, come tante vecchie fidanzate, loro pretenderebbero di essere ricordati tutti. All’inferno, insopportabili rompiballe. Spazio soltanto alle ‘relazioni’ più importanti».
«Mauro Maurizi è uno dei più bravi e matti telecineoperatori della Rai. E’ un bestione di ottanta chili di muscoli e trenta o quaranta di ciccia, taglia da scaricatore del mercato ortofrutticolo e mani adeguate, le cui dita non riesci a capire come possano schiacciare un solo pulsante della telecamera alla volta. Maurizi parla romanesco di borgata, usa la parola “cazzo” come virgola e le bestemmie come sottolineatura. Mauro ha l’aria del tontolone fatto, invece ha una intelligenza che ti fulmina a sorpresa, sempre che ritenga di concedertela. Ha anche una memoria prodigiosa per i dettagli. Ricorda ogni rissa ed ogni scazzottatura della sua vita, ricorda ogni auto che ha sfasciato, e il racconto delle une e delle altre può prendere un’intera nottata. Mauro ricorda ogni torto subito ed ogni nefandezza del “giornalaro”, l’escrescenza inevitabile ma fastidiosa della sua telecamera».
«Mauro Maurizi non ama la guerra ma la guerra ama lui. Conoscendola, se può la evita, o evita almeno i rischi inutili. In realtà lui, per vocazione di vita, i guai se li tira addosso come una calamita. Andare in giro con lui è la certezza di finire in qualche casino. E’ lui che smadonna quando dobbiamo andare a filmare nella zona del Museo Nazionale di Sarajevo, lungo la riva della Miljacka, ed è sempre lui che dopo aver piazzato la telecamera sul cavalletto, quasi fossimo di fronte a Montecitorio, inizia a filmare e neppure si accorge che dal cimitero ebraico ci stanno sparando addosso con tutto l’arsenale che hanno. La realtà del suo mondo è quella che coglie attraverso il view finder della telecamera. Quello di Mauro Maurizi è il mondo degli uomini della telecamera, i miei odiati fratelli, gli eroi troppo spesso taciuti di quel porco mondo della televisione, primi a prendersi il proiettile, ma solo secondi nella firma sul servizio e, quando accade, nell’elenco dei morti sulla lapide».