Censura del Csm alla Fiorillo per aver detto la verità

Il magistrato era di servizio la sera in cui Ruby fu portata in questura a Milano: non ho taciuto ai media per rispetto della verità.

Censura del Csm alla Fiorillo per aver detto la verità
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10 Maggio 2013 - 15.10


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Condanna alla sanzione della censura per il pm dei minori di Milano Annamaria Fiorillo, di turno la notte in cui Ruby venne portata in questura e poi affidata a Nicole Minetti. Lo ha deciso la sezione disciplinare del Csm per violazione del riserbo. L’accusa riguarda dichiarazioni del magistrato alla stampa.

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«Sono capitata in questa storia come Forrest Gump, personaggio con il quale condivido anche il senso della vita», ha detto il sostituto procuratore del Tribunale dei minorenni di Milano, Annamaria Fiorillo, nel suo intervento finale davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. I fatti si riferiscono a dichiarazioni alla stampa e in tv con le quali ha smentito la versione dei fatti riferita dall’allora ministro dell’interno Roberto Maroni su quanto accaduto la notte tra il 27 e il 28 maggio del 2010, quando la minorenne Ruby fu portata in questura a Milano.

«Non sono stupita, lo avevo messo in
conto. E comunque rifarei quello che ho fatto». È il commento della Fiorilo alla sentenza, la quale ha poi annunciato che impugnerà la sentenza. Fiorillo, che quella sera era in servizio, aveva chiarito di non aver mai autorizzato l’affidamento di Ruby a Nicole Minetti. Per questo è ritenuta colpevole di avere violato il dovere al riserbo, e il Pg della Cassazione ha chiesto per lei la sanzione della censura.

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«Ero mossa da un intento di natura etica», ha spiegato ai consiglieri del Csm, dicendosi «orgogliosa di essere un magistrato», e invitandoli a «riflettere su come vi sareste comportati al mio posto». Prima di lei il difensore, il pm romano Nello Rossi, aveva sottolineato come nel caso in questione per Fiorillo «tacere avrebbe significato ledere il suo prestigio di magistrato» e che i suoi interventi sui media sono stati «una sorta di rettifica rispetto alle dichiarazioni di Maroni che per lei erano nocive».

Inoltre «non ha mai rilasciato dichiarazioni sui soggetti coinvolti nel procedimento», ma ha piuttosto «esercitato il sacrosanto diritto di ristabilire la verità sul proprio operato, come avrebbero fatto tutti, forse solo con maggiore cautela».

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