La pubblicità di Feltrinelli naufraga nei doppi sensi

«Stasera mi porto a letto tutta la Feltrinelli» è lo slogan. Certo, a letto si legge. Ma portarsi qualcuno a letto evoca altri scenari. Giangiacomo perdona i tuoi successori.

La pubblicità di Feltrinelli naufraga nei doppi sensi
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18 Ottobre 2013 - 12.01


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di Lorenza Valentini

Questa è la pubblicità dell’e-reader Kobo, che campeggia nel corridoio della libreria Feltrinelli di piazza Colonna, Roma, dove di solito c’è la classifica libri. “Stasera mi porto a letto tutta la Feltrinelli”.

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Una grande azienda, una delle case editrici più importanti del paese, che ha portato in Italia libri importanti (l’esempio più banale è la prima edizione de “Il dottor ?ivago”, che costò a Giangiacomo Feltrinelli la tessera del Partito Comunista), non è stata capace di andare oltre un doppio senso alla Alvaro Vitali, che forse farà sghignazzare qualche dipendente e qualche cliente, ma che – almeno a me – sembra dire qualcosa di più.

Mi dice innanzi tutto che ogni volta che qui come altrove si è parlato di pubblicità e comunicazione, sottolineando come il sesso sia sempre più spesso usato per vendere qualsiasi prodotto, avevamo ragione: in questo paese il sesso è la sola cosa che vende e che sta bene su tutto e a quanto pare nessuno ha voglia di uscire dallo stereotipo e tentare qualcosa di diverso. La storia della strada vecchia e della nuova, insomma.

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E mi dice che il nuovo corso di Feltrinelli, quello che mette i dipendenti in solidarietà e intanto apre canali televisivi, quello che vende cioccolata, gomme americane e zainetti, quello che vuole chiudere la libreria di via del Babuino, che Giangiacomo, per usare le parole di Inge, voleva diventasse “un luogo della cultura viva e moderna di Feltrinelli a Roma,” ha perso la spinta intellettuale e in qualche modo “educativa” (passatemi il termine) in nome del profitto.

Cosa che, badate bene, va benissimo, dal momento che si parla di un’Azienda e non di un’opera pia, ma che pare stonare con le belle parole che accompagnano le iniziative della stessa.

Che si ammettesse una volta per tutte che dei begli ideali ci si è stufati, che non importa più pubblicare un libro nonostante le pressioni politiche, perché è molto meglio contare i soldi e aprire ristoranti in centro. Andrebbe benissimo, è più che legittimo. E poi la coerenza è una gran cosa.

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Continuo a guardare quell’immagine e mi chiedo cosa ne pensano le tante donne e i tanti uomini che nei prossimi giorni dovranno lavorare con questo bel manifesto dietro la schiena.

Mi chiedo se trovano divertente una pubblicità che li chiama in causa tutte e tutti, che li mette al piano della merce venduta, roba che se voglio “mi porto a letto”.

Scusa, Giangiacomo, perché (non) sanno quello che fanno.

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Forse.

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