Lampedusa, stupri di massa prima del naufragio

Torture, botte, insulti e violenze sessuali: questo è il racconto dell'orrore dei sopravvissuti al naufragio dello scorso 3 ottobre a Lampedusa. Arrestato un somalo.

Lampedusa, stupri di massa prima del naufragio
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8 Novembre 2013 - 15.48


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“Ho pregato Dio giorno e notte affinché mi avrebbe fatto rincontrare in vita questo soggetto per fargliela pagare…”. Alay è un giovane eritreo di 35 anni ed era sul barcone naufragato lo scorso 3 ottobre davanti alle coste di Lampedusa. Un viaggio della morte, costato la vita a 366 eritrei, partiti dalla Libia nella speranza di una vita diversa. Anche lui, come tanti altri suoi connazionali, sono stati prigionieri per mesi del gruppo di somali capeggiati dal somalo di 24 anni, Elmi Mouhamud Muhidin, arrestato all’alba di oggi dalla Polizia con l’accusa di violenza sessuale, sequestro di persona e associaizone a delinquere.

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Dalle indagini in corso è emerso che tutte le donne che viaggiavano sul barcone diretto a Lampedusa sarebbero state violentate dagli scafisti. L’inchiesta è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo.

Tra i capi d’imputazione quella di aver abusato sessualmente delle donne che viaggiavano sul barcone, come è emerso dalle testimonianze dei sopravvissuti. Ma anche di aver perpetrato violenze e torture contro i migranti, confinati in un centro di raccolta in Libia.

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“Una sera, portarono fuori due ragazze. Un’ora dopo, ne tornò solo una. L’altra era stata uccisa”, è il racconto di una giovane eritrea di appena 17 interrogata oggi. “A luglio, assieme ad altri miei compagni, all’incirca 130 persone di cui 20 donne – ha raccontato la testimone – c’eravamo messi in marcia nel deserto tra il Sudan e la Libia: all’improvviso fummo fermati e costretti sotto la minaccia di armi da fuoco a salire su alcuni furgoni. A piccoli gruppi, ci condussero con la forza all’interno di una casa sita nella città di Sebha. I nostri sequestratori erano circa 50 uomini, di origine somala e sudanese”.

Interrogato dagli investigatori, Alay ha raccontato di avere incontrato il sonmalo, la sera del 25 ottobre, dopo che quest’ultimo era sbarcato a Lampedusa su un barcone con altri 90 somali. “Mentre mi trovavo all’interno del Centro d’accoglienza di Lampedusa insieme ad altri miei connazionali ho saputo che con l’ultimo sbarco era arrivato il somalo che nel deserto, al confine tra Sudan e Libia, nel luglio scorso aveva sequestrato e torturato me ed altri 130 miei connazionali mentre eravamo in transito in direzione Libia – racconta ancora sconvolto – recatomi da subito nel piazzale mi hanno detto che lo stesso era stato gia’ preso dalla Polizia italiana e che non era possibile avvicinarlo”.

“Il somalo arrivato ieri a Lampedusa, insieme ad una cinquantina di suoi connazionali dopo avere bloccato la marcia mia e dei miei compagni di viaggio, ci hanno costretti, sotto minaccia di armi da fuoco, a salire in alcuni furgoni ed a piccoli gruppi ci hanno condotti con forza all’interno di una casa sita nella città di Sebha in Libia. Dopo averci rinchiusi in una grande stanza ci prelevavano uno per uno e dopo averci privati dei nostri effetti personali utilizzavano il nostro telefono cellulare per chiamare i nostri familiari al fine di richiedere un riscatto per la nostra liberazione – racconta il ragazzo eritreo – Preciso che eravamo costretti a stare in piedi ed in silenzio per tutta la giornata e che siamo stati rinchiusi per periodi che variavano dai 10 ai 16 giorni”.

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Chiesto un riscatto di 3300 dollari – “Il somalo in questione ed i suoi uomini ci hanno obbligato, tutto il tempo, a vedere i nostri compagni che a turno venivano torturati con vari mezzi, tra cui manganelli, scariche elettriche, tenendoci legati mani e piedi, ed infine minacciandoci con delle armi da fuoco puntate alla testa – prosegue il tragico racconto dell’eritreo – I nostri sequestratori, dopo avere richiesto riscatti di 3300 dollari per ognuno di noi, ci hanno rinchiusi nella stanza per oltre 10 giorni fino a quando i soldi da loro richiesti venivano accreditati sui conti bancari che loro stessi fornivano ai nostri familiari. Per me, hanno ricevuto dai miei genitori che vivono in Eritrea 3300 dollari che solo dopo giorni i miei sono riusciti a mandare, grazie ad alcune offerte di altri miei parenti”.

E le donne che non pagavano, violentate a ripetizione. Al pagamento del riscatto andavamo al cospetto di tale Aziz – ha verbalizzato la ragazza – un uomo eritreo che vive a Tripoli. Fa parte dell’organizzazione criminale di Ermies o di Abdelrazak, sono loro che si occupano dei viaggi per l’Europa. Quando, alla fine della carcerazione e delle violenze, si partiva, altri soldi.

L’altro testimone eritreo ha invece detto: “Preciso che ci mettevano in libertà a gruppi di 25 e che successivamente dopo averci caricati a bordo di un furgone ci accompagnavano fino a Tripoli”. “Il somalo, che è arrivato a Lampedusa, è colui che era in possesso di tutte le chiavi di quella casa, comprese quelle degli armadi che custodivano le armi, inoltre lo stesso mentre eravamo rinchiusi aveva la funzione di comandante di altri cinque soggetti anch’essi in possesso di armi da fuoco – ha spiegato ancora Alay – Preciso che il somalo in questione era colui che contattava personalmente i nostri familiari per la richiesta del riscatto, e che armato di pistola, ci ha minacciato più volte facendoci colpire con dei manganelli”.

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L’aguzzino diceva: “voi cristiani siete inferiori” – “Addirittura un giorno dopo averci bagnati con dei secchi d’acqua ed allagato il pavimento hanno preso dei fili elettrici e dopo averli appoggiati a terra ci hanno fatto prendere una scarica elettrica che e’ durata solo pochi secondi solo grazie al conseguente corto circuito della rete della casa, successivamente dopo che i nostri carcerieri avessero provveduto a riaccendere la luce gli stessi ci prendevano in giro e ridendo ci dicevano che se morivamo loro erano contenti perché noi eravamo solo dei cristiani, esseri inferiori a loro musulmani”, prosegue il film dell’orrore.

L’arresto dei sospettati – Il somalo di 24 anni, appartenente ai miliziani armati, si trovava nel centro di accoglienza di Lampedusa, dove fingeva di essere uno dei superstiti, che lo hanno invece riconosciuto ed hanno tentato di linciarlo.

Nel corso delle indagini è stato fermato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina anche un palestinese, sospettato di aver organizzato un altro recente sbarco di immigrati, in questo caso siriani, sempre a Lampedusa.

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“È una delle poche volte che si arresta uno dei capi della struttura”, ha detto il dirigente dello Sco Enzo Nicolì. Entrambi i fermati si trovano a Palermo. Non è ancora chiaro perché i due abbiano fatto il viaggio per Lampedusa. “Forse hanno avuto contrasti con l’organizzazione – dicono gli inquirenti – forse cercavano solo contatti con altri soggetti criminali”. L’associazione, secondo le indagini, ha incassi elevatissimi, ogni migrante frutta circa 5 mila dollari.

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