La gente è arrabbiata per la crisi. E ha tutte le ragioni. Peccato che in mezzo alla legittima protesta ci sia finito dentro un po’ di tutto. Dall’ultras di calcio, talvolta pregiudicato, al politico fallito che cerca di riciclarsi come capopopolo, al portatore di interessi poco limpidi, al fascista. Attorno a loro tanta brava gente seriamente preoccupata per il proprio futuro, ma a sua volta potenziale preda del masaniellismo di ritorno.
Capita così – e [url”Globalist”]http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=52368&typeb=0&Con-i-forconi-la-Rai-sdogana-le-teorie-di-Hitler[/url] lo ha denunciato – che spuntino parole d’ordine assai pericolose, identiche a quelle che hanno contribuito ai massacri della storia. La colpa della crisi è degli ebrei. O, detto nello stesso senso, dei sionisti, posto che il sionismo è altra cosa. Perché gli ebrei sono banchieri e le banche affamano il popolo; perché gli ebrei sono portatori di un disegno di dominio mondiale. Perché i sionisti hanno dato vita a Israele che massacra il popolo Palestinese. Quest’ultima affermazione peraltro totalmente priva di nesso con le ragioni della crisi.
Tesi tanto assurde quanto pericolose. Non solo perché sono quelle che hanno alimentato il potere di Hitler, le deportazioni, i lager (e sarebbe già sufficiente) ma perché riproducono in maniera acritica il meccanismo del capro espiatorio. Ossia invididuare non le ragioni (plurali) della crisi, ma il colpevole (singolare) causa di tutti i mali.
Se c’è la crisi non è colpa delle storture del sistema capitalistico, di come è stata gestita o non gestita la globalizzazione negli ultimi 15 anni, del fatto che la crescita di nazioni povere per una banale questione di redistribuzione, impoverisce quelle più ricche. O di un produttivismo senza limiti che ci ha inondato di merci senza che fossimo più in grado di gestirle. O dell’economia di carta che ha soppiantato quella reale.
Tante ragioni su cui discutere, confrontarci, litigare. Perché la crisi non si supera con i roghi e le impiccagioni, ma proponendo nuove politiche giuste e socialmente accettabili.
Invece no. Questa melma, che potrebbe essere nuovo terreno di studio degli psicosociologi, dimostra come le intuizioni di Theodor Wiesengrund Adorno e della scuola di Francoforte sulla personalità autoritaria fossero giuste. Ci si muove per stereotipi. Per luoghi comuni. Il “mostro” deve avere un volto, perché a questo tipo di persone sfugge la complessità del pensiero e fa difetto la capacità di astrazione. Da qui la reductio ad unum e lo slogan come spiegazione.
Globalist ha giustamente denunciato questa deriva. Un autoritarismo gravido di razzismi e xenofobia, privo d progettualità politica che tenta di spostare l’indignazione delle masse – ridotte a folla – sul terreno della reazione.
Siamo stati coperti di insulti e in qualche modo ne siamo lieti. Molti erano chiaramente fascisti, altri di persone educate in maniera repressiva e quindi capaci di esprimersi solo per epiteti, altri ancora da sedicenti militanti di sinistra i quali – senza conoscere la storia e la seconda guerra mondiale – in maniera pavloviana sono andati al conflitto israelo-palestinese, come se ciò fosse una causa giustificante delle parole antisemite per dare un colpevole alla crisi. Siccome Israele perseguita i palestinesi, allora chi si oppone alle parole d’ordine post-hitleriane contro gli ebrei è un venduto al sistema. In questo dimostando che un po’ di Alba Dorata è anche dentro questi sinistri, reazionari nell’animo pur credendosi rivoluzionari.
C’è molto su cui riflettere su questa deriva autoritaria, sul vuoto etico e culturale scaturigine dei nuovi apprendisti stregoni, sull’ignoranza che spalanca le porte alle superstizioni politiche, né più né meno come ai tempi delle streghe.
Qualcuno si augura una nuova Auschwitz? Io no. Noi no.