Da profughi a volontari per aiutare bimbi, anziani e clochard

L'esperienza promossa a Catania dalla comunità di San'Egidio che coinvolge le persone accolte nel Cara di Mineo e nelle altre strutture della rete Sprar.

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22 Febbraio 2015 - 12.37


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Dedicarsi alle situazioni più fragili dopo essere stati accolti all’interno del Cara di Mineo o in uno dei diversi centri d’accoglienza del catanese della rete Sprar. Con questo intento 70 immigrati e richiedenti asilo si dedicano alcuni giorni a settimana ad anziani soli di due istituti, bambini e senza dimora. L’iniziativa è portata avanti dalla comunità Sant’Egidio di Catania che conta anche sul servizio svolto da altri 200 volontari italiani, in gran parte giovani, impegnati anche nell’accoglienza nell’operazione Mare Nostrum.

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L’esperienza del volontariato degli italiani che si è attivato soprattutto in occasione dei diversi sbarchi di immigrati avvenuti con la scorsa operazione Mare nostrum e del volontariato dei migranti è stata raccontata oggi dal responsabile della comunità di Sant’Egidio etnea Emiliano Abramo all’interno del seminario “L’Immigrazione che verrà. Dal respingimento a Mare Nostrum. Dall’Italia all’Europa”, in corso ieri e oggi, a Catania e organizzato da Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia-art.3.
L’obiettivo dell’incontro, che prevede la partecipazione di diversi esponenti istituzionali tra cui la presidente della Camera Laura Boldrini e il vice-premier Angelino Alfano, è quello di aprire uno spazio di riflessione sull’attuale operazione Triton, ricordando anche l’esperienza di Mare Nostrum nel salvataggio di vite umane e nella successiva accoglienza di decine di miglia di migranti.

“Da Mare Nostrum a Triton abbiamo seguito e cercato di rispondere, finora, ai bisogni di circa 3 mila persone. Durante i vari sbarchi a Catania, circa una trentina, ci siamo attivati al porto per dare accoglienza e primo sostegno ai migranti che arrivavano – dice Emiliano Abramo -. Abbiamo cercato di dare un volto umano anche alle situazioni più drammatiche non ultima, purtroppo quella dell’arrivo delle 300 salme a Porto Empedocle. Il nostro impegno è continuato accompagnando e seguendo per i vari bisogni i migranti che si trovavano nei centri di accoglienza per reperire beni di prima e seconda necessità. Nonostante l’esperienza del Palaspedini di Catania non sia stata la condizione di accoglienza ideale, abbiamo cercato di non lasciare mai soli gli immigrati davanti ai loro bisogni. Soprattutto su richiesta della prefettura, abbiamo cercato di occuparci dei trasporti in ospedale e dei bisogni sanitari”.

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Oggi a Catania non ci sono più centri di prima accoglienza e i migranti si trovano tutti nelle strutture dello Sprar e nel Cara di Mineo. “Continuiamo a seguirli lo stesso – dice – e 70 di loro sono diventati nostri volontari. 40 provengono dal Cara di Mineo e una trentina dagli Sprar. Alcune volte alla settimana li preleviamo dai centri per farli dedicare alle fasce più deboli della città: anziani, bambini e clochard. Gli anziani si trovano in due istituti e i bambini sono quelli che seguiamo in attività di doposcuola e animazioni nella nostra scuola delle pace frequentata da italiani e stranieri. Inoltre, all’interno del Cara di Mineo, che in questo momento conta circa 3500 persone, tra uomini e donne, una volta alla settimana organizziamo una preghiera con i migranti animata da loro stessi. L’esperienza ci dimostra che alimentare il circuito virtuoso del volontariato di italiani e stranieri è molto importante per tutta la società”.

Il rappresentante della comunità di Sant’Egidio appare critico su come è stata gestita l’accoglienza dei migranti soprattutto all’interno del palazzetto dello sport di Catania e auspica per il futuro un sistema organizzativo e di accoglienza diverso.Bisogna ancora lavorare molto per superare quella che è stata la scarsa disponibilità delle istituzioni ad individuare un centro di accoglienza dignitoso – sottolinea -. Il Palaspedini non è stato all’altezza di questo compito per tanti motivi. Si è trattato, infatti, di un luogo totalmente insufficiente a soddisfare, per esempio, le necessità soprattutto sanitarie ma anche di altro genere. Sicuramente se Catania dovesse ancora essere interpellata di nuovo sul piano della prima accoglienza dovrebbe cambiare il sistema, sollecitando le istituzioni a ripensare ad altre realtà più idonee e dignitose”. (set)

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