“Lo faccio finire peggio del giudice Falcone…non se ne va…gli hanno rinforzato la scorta. E allora se fosse possibile a ucciderlo, un’esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo”. Agghiaccianti le dichiarazioni di Totò Riina nel cortile del carcere milanese di Opera, rivolgendosi al suo compagno d’aria Alberto Lorusso. La Dia di Palermo intercettava ogni parola. Il vecchio boss lo vuole morto Di Matteo. Anche di Matteo deve fare la fine di Falcone e Borsellino.
Poi ci sono le dichiarazioni dell’ex boss palermitano di Borgo Vecchio, Francesco Chiarello: “Il tritolo si trova già a Palermo, è stato trasferito in un nascondiglio sicuro”. Ed ancora, lo scorso anno anche il collaboratore di Barcellona Pozzo di Gotto, Carmelo D’Amico, parla di centocinquanta chili di esplosivo. Non sa dove si trovi, l’unico a sapere dove sia nascosto, è Vincenzo Graziano, che lo ha acquistato. Lo stesso che, al momento dell’arresto, disse: “L’esplosivo per Di Matteo dovete cercarlo nei piani alti”.
“Ho pudore a parlarne” . Nino Di Matteo, è a Taormina. L’occasione è la kermesse letteraria Taobuk. “Il tritolo già a Palermo per Di Matteo”. Una minaccia terrificante che viene ricordata al magistrato palermitano. Lui risponde citando Giovanni Falcone:“Il coraggio non è non avere paura”, piuttosto non farsi piegare, andare avanti. “Ho pudore a parlarne – dice Di Matteo – purtroppo ho una brutta sensazione, ma amo il mio lavoro e lo vivo con enorme passione”. Di Matteo è visibilmente scosso, commosso, sembra suggerire di essere consapevole di chi sono i nemici. Occorre rompere i muri del silenzio, dell’indifferenza e dell’omertà, l’arma che ha ucciso più della mafia – ripete – poiché siamo di fronte a un’organizzazione che ha ucciso come nessun’altra prima, ha agito e compiuto in maniera atroce, eliminando ogni ostacolo. Di Matteo ricorda “l’obbligo morale della memoria e della conoscenza”. Cosa Nostra non è stata sconfitta – avverte Di Matteo – ha solo cambiato faccia e adesso siede nei salotti buoni.
Presente all’incontro il giornalista Salvo Palazzolo, coautore del libro “Collusi – perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia”, un libro lucido, diretto che dà la possibilità di raccontare ciò che non si racconta. “Abbiamo bisogno dell’Antimafia dei fatti” dichiara Palazzolo, “Il mafioso è chi imbastisce un progetto, un’idea, un programma dettagliato, da seguire”, “Lo Stato ci dovrebbe mettere in condizioni adeguate per lottare la mafia, il salto di qualità che occorre fare sarebbe un aiuto da parte dei politici, ma nei fatti non vedo nessuna volontà, non avvertiamo il sostegno della politica”, lo dichiara un Di Matteo deluso. “Molti politici definiscono noi magistrati come dei politicizzati, dei protagonisti egocentrici, sono gli stessi politici che adesso parlano bene di Falcone e Borsellino, quando ai tempi lo dicevano di loro”.
Alla fine dell’incontro sono stati ricordati Pippo Fava, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutte le vittime che hanno creduto nella loro missione, non martiri, ma uomini lasciati da soli, ai qual hanno rubato le ultime parole, “l’agenda rossa, gli archivi, ci hanno tolto le loro ultime parole, le parole della speranza”, e adesso abbiamo bisogno di fatti concreti affinché quel tritolo non distrugga altre parole, la missione di chi non molla e cammina a testa alta con dignità, nutrendo la speranza di debellare questa piaga sociale.