C’è una mafia, tutta da decifrare, che per svilupparsi aspetta, anzi si augura, la morte dei grandi boss, in carcere o latitanti. La morte di Bernardo Provenzano e Totò Riina – secondo gli elementi raccolti in alcune intercettazioni – potrebbe aprire una nuova fase per Cosa nostra. Una fase nuova auspicata da ampi settori dell’organizzazione criminale palermitana. Così come l’accantonamento di personaggi come i fratelli Graviano e persino Matteo Messina Denaro. Così la pensano esponenti di primo piano della mafia, arrestati mercoledì, dai carabinieri dei Ros, nel palermitano, tra gli uomini di Cosa nostra dei mandamenti di Villagrazia-Santa Maria di Gesù, e a San Giuseppe Jato, in provincia. In tutto, 62 arresti, tra anziani padrini e insospettabili.
La sorpresa, da alcune intercettazioni che testimoniano una crescente insofferenza verso i capi corleonesi e il superlatitante di Castelvetrano. “Minchia hai visto Bernardo Provenzano…? sta morendo… mischino…”, diceva Santi Pullara, uno dei pezzi grossi di Santa Maria di Gesù, figlio dell’ex reggente Ignazio. “E se non muoiono tutti e due, luce non ne vede nessuno… è vero zio Mario?”, chiedeva al potente e influente capomafia Mario Marchese che interpellato in merito concordava: “Lo so”, e aggiungeva che il cambiamento doveva coinvolgere anche gli esponenti a loro legati: “Non se ne vedono lustro e niente li frega… ma no loro due soli, tutto ‘u vicinanzo”, facendo poi i nomi dei più importanti appartenenti allo schieramento corleonese: i fratelli Graviano, Leoluca Bagarella e il latitante Matteo Messina Denaro.