L’Associazione Libera contro le mafie promuove nel periodo estivo il progetto “E!State Liberi!”. Le cooperative sociali di “Libera Terra” nate in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia ospitano migliaia di giovani italiani e stranieri desiderosi di fare un’esperienza di volontariato nelle strutture e nei campi confiscati alle mafie, poi riutilizzati come beni sociali per l’intera comunità. Il riutilizzo sociale dei beni confiscati è stato approvato con la legge 109 del 1996. I campi di volontariato sono strutturati in tre momenti diversi: le attività agricole o di risistemazione del bene, la formazione e l’incontro con il territorio. L’iniziativa si inserisce nelle pratiche di cittadinanza attiva, con l’obiettivo di promuovere la cultura della legalità. Maria Carnevali ha intervistato Claudio Siciliano, responsabile nazionale di “E!State Liberi!” sull’origine e lo svolgimento di questa iniziativa:
R. – I campi nascono più di dieci anni fa con l’intento di far conoscere la legge – la 109 del ’96 – che promuove l’utilizzo sociale dei beni confiscati e accende i riflettori su quei beni e sulle realtà che provano a valorizzarli e a riconquistarli dopo la loro confisca. Nasce in Calabria e Sicilia, poi pian piano si sviluppa negli anni, partendo dalle realtà di “Libera Terra”. L’offerta coinvolge più di 50 realtà su tredici regioni.
D. – Come sono strutturati i campi di volontariato?
R. – Sono strutturati in sette giorni in cui i ragazzi partecipano e scoprono appunto le attività, affiancando i soci delle cooperative, delle associazioni che hanno in mano i beni confiscati e lo fanno anche formandosi, incontrando i rappresentanti istituzionali, i magistrati esperti del contrasto ai criminali sul territorio. La positività enorme di questo lavoro e di questa scoperta sta nell’evidenziare l’effettiva possibilità di contrastare un fenomeno che anche nelle costruzioni più mediatiche sembra indistruttibile. E invece qui si scopre appunto che è possibile, anche partendo da piccoli gesti che ricostruiscono comunità, ricostruiscono un sistema economico sano, fatto di diritti, fatto di rispetto dell’ambiente, di un nuovo modo di stare insieme. La cosa bellissima è anche far capire, far scoprire ai tanti partecipanti, che quest’anno sono più di 3 mila, l’esperienza positiva, grazie a questi beni, di tutti i soggetti svantaggiati sul territorio.
D. – La provenienza dei ragazzi è uniforme tra Nord, Centro e Sud Italia? Riuscite a trovare collaborazione anche da parte di giovani che provengono dalle regioni stesse in cui vengono effettuati i campi?
R. – La partecipazione a questo progetto è soprattutto del Nord ed è molto elevata. E’ molto presente anche il tema del viaggio, della scoperta. Naturalmente sappiamo che la presenza dei beni confiscati, ma soprattutto il loro riutilizzo, è più impostata al Sud. Registriamo, però, un incremento negli anni della partecipazione dei ragazzi del Sud e del Centro. I partecipanti del Sud, diciamo, vivono questa esperienza in modo diverso. Abbiamo bellissime testimonianze di affiancamento al campo, anche non relative alla partecipazione, dove si affiancano ai volontari una volta che sono sul posto.
D. – Da cosa pensa che possa dipendere il successo di questa iniziativa?
R. – La concretezza. I tantissimi ragazzi che partecipano ce lo dicono in ogni forma. Dipingere un cancello, ricostruire un muro, rendere più accessibile il bene confiscato, che magari ospita dei laboratori contro la dispersione scolastica, costituisce un esempio concreto, reale e praticabile da parte dei partecipanti.
D. – Papa Francesco, durante la Gmg di Cracovia ha invitato i giovani a combattere la “divano-felicità”. Voi con questo percorso di impegno avete fatto vostra questa chiamata già da prima. Quali sono le reazioni dei giovani di fronte a tale responsabilità?
R. – Nella loro esperienza di viaggio, quindi di impegno e di formazione, i ragazzi sviluppano una coscienza nuova, tornano nei nuovi territori con occhi nuovi, diversi, e la voglia anche di stare insieme in modo diverso. Molto spesso i ragazzi vengono da contesti che li isolano. E’ un modo, dunque, di stare insieme agli altri concorrenziale. Naturalmente sul campo vivono un’esperienza contrapposta: il tema della cooperazione sostituisce quello della concorrenza, i legami sostituiscono l’isolamento, l’alienazione che in questi contesti viviamo. Quindi, al ritorno nei propri territori i ragazzi maturano una nuova voglia di stare insieme e vivere da cittadini protagonisti la propria vita.
D. – A proposito di cooperazione, i campi sono aperti anche a giovani provenienti dall’estero. Trovate possa essere possibile realizzare dei campi che favoriscano l’integrazione?
R. – Assolutamente. Noi abbiamo già diversi progetti e diversi spazi, anche su campi tematici, dove l’approfondimento, il lavoro e l’attività su questo tema sono più orientati. Questa esperienza serve a demolire gli stereotipi, ad abbattere muri e a costruire questo tipo di comunità nuova e positiva.