Il caso si chiude, dopo 18 anni Di Matteo lascia la procura di Palermo. Ma l’addio all’ufficio requirente del capoluogo siciliano , dunque, potrebbe non avere ripercussioni sul processo Stato-mafia, che vede come imputati politici, esponenti di vertici dell’Arma dei carabinieri e boss mafiosi e che due anni fa aveva portato a un conflitto di attribuzioni con il Quirinale, in seguito all’intercettazione di telefonate tra l’ex ministro dell’Interno Mancino e l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano. Se lo richiederà il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e se Roberti darà il suo assenso, Di Matteo potrà continuare a svolgere il ruolo di pm in quel processo. In attesa dell’ok alla sua permanenza al processo Stato-mafia, peraltro, per un paio di mesi per Di Matteo non cambierà proprio nulla. Al lavoro al Palazzo di Giustizia di Palermo, circondato da misure di sicurezza senza precedenti.
E Di Matteo si toglie un grosso sassolino dalle scarpe, puntando il dito verso Roma:”Sulla mia nomina alla Procura nazionale antimafia in questi anni ci sono stati i veti di alti esponenti istituzionali…A prescindere dal valore professionale altissimo dei colleghi che mi sono stati preferiti in altre circostanze – dice – resto convinto che in passato ci sia stato qualche veto e qualche pregiudizio, anche da qualche alto esponente istituzionale che ha pressato perché la mia domanda non fosse accolta. Questo è quello che penso. Mi auguro che non sia accaduto ma ho qualche elemento per ritenere che possa essere accaduto….Ho delle mie idee…”. E comunque, Di Matteo guarda innanzi, la scelta fatta è dovuta – ha detto – “alla consapevolezza che per continuare a impegnarmi nella lotta alla mafia dovevo cambiare ruolo e ufficio”.
L’impegno per il futuro? Di Matteo non ha dubbi:”Spero anche in futuro di potere avere un ruolo anche nel percorso di approfondimento nella ricerca della verità sulle stragi e su tutto quello che è accaduto nel ’92 e ’93. Sui rapporti alti della mafia con la politica e con il potere in generale”.