Notte col morto a Vicolo Pipitone, lo 'scannatoio' di Cosa nostra

A Palermo un delitto dopo una lite tra vicini nella stradina da cui partivano le spedizioni assassine della mafia

Vicolo Pipitone a Palermo
Vicolo Pipitone a Palermo
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

21 Settembre 2017 - 15.30


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Vicolo Pipitone è una brutta strada strozzata, con un muro in fondo che ne segna la fine. La mafia ha marchiato la mappa di Palermo con tanti cerchietti rossi dove ha ucciso, dove ha fatto strage, dove ha maturato ed ordinato missioni criminali, delitti eccellenti, progetti di morte destabilizzanti, ma anche vendette e esecuzioni esemplari. Vicolo Pipitone forse è stato fatto apposta senza uscita. Metafora. Il rione è quello dell’ Acquasanta, a metà strada fra i Cantieri Navali e Villa Igiea. Il carcere dell’Ucciardone non è lontano, basta affacciarsi dal vicolo e vedi le mura alte segnate dal tempo, le finestre coi vetri spaccati per poter vedere la strada dalle celle. Vicolo Pipitone ha una storia, era il quartier generale della famiglia mafiosa dei Galatolo ed era stato ribattezzato “lo scannatoio dei Corleonesi”. Luogo apparentemente insignificante, una fila a destra di case e palazzine stentate e dall’altra parte del vicolo altre case e palazzine insignificanti. Tra i Cantieri Navali operai del secolo passato e la Villa Igiea di un tempo più lontano, voluta dai Florio per pareggiare ricchezza e splendore dei regnanti, dello zar.
Vicolo Pipitone vive nella memoria di pochi, in quella di vecchi cronisti che hanno in testa, e non riescono a scrollarsi, piccoli e grandi passaggi di una guerra che non si è chiusa. Vicolo Pipitone qualche giorno addietro è tornato. “Un uomo è morto sparato in strada”. E’ una donna che abita in una delle palazzine a chiamare il 118. Pochi minuti, ed eccolo Vicolo Pipitone, come un tempo affollato di lampeggianti. Come venti, trent’anni fa. Qui torturati quelli che avevano osato ribellarsi a Totò Riina, quelli che avevano “sgarrato”, che lo avevano tradito. Cose della seconda guerra, quella di mafia. Era il tempo che arricchiva di cerchietti rossi quotidiani la cartina di Palermo, con gli strilloni che ai quattro canti di città urlavano i titoli a tutta pagina, traducendoli con arte in dialetto:”Quantu n’ammazzaruuuu!!!!”. Se era stata una strage.
Da questo vicolo partirono gli uomini di Cosa nostra incaricati di eliminare il giudice istruttore Rocco Chinnici, di fermare il segretario regionale del Pci, Pio La Torre, il commissario Ninni Cassarà. Una vera centrale della morte in questo vicolo che due anni fa era tornato ad interessare gli inquirenti dopo le rivelazioni sul probabile attentato al pubblico ministero Nino Di Matteo, quello della trattativa Stato-mafia. Ad indicare vicolo Pipitone era stato il pentito Vito Galatolo che qui era nato e cresciuto. Secondo Galatolo, 200 chili di tritolo erano arrivati in Sicilia dalla Calabria per uccidere il magistrato più protetto d’Italia, il più scomodo.
E quei 200 chili di esplosivo sarebbero stati custoditi proprio in vicolo Pipitone. Per mettere sottosopra vicolo Pipitone, alla ricerca di quel carico di morte, quel giorno arrivano duecento finanzieri: un militare per ciascun chilo di tritolo. Ma l’esplosivo non fu trovato.
Per una notte vicolo Pipitone era rientrato nelle cose di mafia. Poi, nuovamente il silenzio, fino alla telefonata al 118 con il vicolo tornato ad essere un luogo di morte. Non Cosa nostra, niente pistola, né armi micidiali di sterminio: “Aveva minacciato la mia famiglia…”. Ad uccidere, Giovanni Pizzuto: una pugnalata al cuore del vicino di casa. Ventotto anni, un passato di furti e piccoli reati, Pizzuto ha confessato subito l’omicidio. Ad essere ucciso, un posteggiatore abusivo della zona.
I lampeggianti, le manette al giovane. Tutto per vecchi dissidi, piccole storie da vicolo. E’ bastato un bicchiere di vino in più, una parola di troppo, una minaccia, un coletto a portata di mano. Un solo colpo, violentissimo, e il coltello resta conficcato nel petto del posteggiatore fino all’impugnatura. Nel cuore. Notte di fine settembre con delitto a Vicolo Pipitone. Spenti i lampeggianti, il budello dell’Acquasanta è tornato a ripiegarsi nella storia criminale di Cosa nostra. Cerchietto rosso tra tanti.

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