Il 5 aprile del 2010 partì un’accusa contro la Eni e la sua controllata nigeriana Nigerian Agip Oil Company (Naoc), responsabile, secondo la comunità Ikebiri, di uno sversamento di petrolio nel delta del Niger che ha contaminato un territorio di 17,5 ettari. otto anni dopo, grazie all’appoggio della ong Friends of the earth, il processo contro il gigante italiano comincerà in aprile e avrà sede nel Tribunale di Milano.
Un giorno storico, ha commentato Godwin Ojo, direttore di Friends of the earth Nigeria, che ha preso parte all’udienza preliminare, che porterebbe la Eni a una compensazione di 2 milioni di euro alla comunità Ikebiri. Da parte loro, Eni e Naoc sostengono di aver già effettuato la bonifica e proposto un risarcimento di 4,5 milioni di naira (circa 200mila euro).
A seguire pro bono la causa degli Ikebiri è l’avvocato civilista Luca Saltalamacchia, che ha spiegato che il punto critico dell’udienza preliminare era il rischio, poi scongiurato, che il giudice rifiutasse di accogliere il proveddimento per mancanza di giurisdizione. Invece, il giudice ha scelto di non pronunciarsi, rimandando la discussione all’inizio del processo.
La Nigeria, soprattutto la zona del delta del Niger, non è nuova a episodi come questo. Territorio ricchissimo di petrolio, tanto da poter (in teoria) sostenere tutte le popolazioni locali, viene sfruttano fin dal 1956, anno in cui i giacimenti furono trovati, riducendo le comunità alla fame e alla povertà assoluta. Nel caso in questione, Friends of the earth ha rivelato che a causa dello sversamento (che Naoc attesta a 50 barili, mentre l’accusa è molto superiore) l’area è stata fortemente compromessa e ha messo a repentaglio la sopravvivenza degli Ikebiri, che vivono principalmente di pesca e agricoltura.
La situazione è responsabilità anche dello stesso governo nigeriano, che chiude spesso un occhio su attività illegali delle grandi imprese, come il gas flaring (la combustione di gas in eccesso estratto con il petrolio). Le imprese tendono a coprire le tracce delle loro azioni illegali, spesso bruciando il combustibile invece di ripulirlo, provocando ulteriori danni. “Il nostro obiettivo”, spiega Ojo, “è che venga posto un freno all’impunità di queste aziende, che pensano di essere al di sopra della legge”